The Strings, di Ryan Glover

Un ambizioso horror, che, a partire dal lavoro sul tempo, prova a ipotizzare un’idea di cinema post pandemico. Ma si ferma un attimo prima del colpo finale ed il futuro promesso diventa inafferrabile

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È indubbiamente coraggioso, Ryan Glover, se con The Strings, suo esordio, ha deciso di guardare la catastrofe negli occhi. Il film, che Glover ha sceneggiato insieme a Krista Dzialoszynski è in effetti un lockdown movie mai dichiarato, prodotto nel 2020 delle prime ondate e che tuttavia, a partire dal genere e da un linguaggio mutato dalla pandemia, riflette sul futuro del cinema dopo la sua (momentanea) fine. Il trauma ha colpito e le sue strutture essenziali hanno ormai sotterraneamente influenzato l’immaginario e l’inconscio collettivo.

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Non è un caso, forse, che la protagonista, la cantante Catherine, per comporre il primo album solista dopo la drammatica separazione dal suo compagno di band decida di isolarsi in un cottage remoto. Durante il suo ritiro, mai così simile ad un lockdown forzato, dovrà fare i conti con una presenza demoniaca che infesta la casa, ma anche con l’apatia, la depressione, la necessità di rimettere insieme i pezzi dopo un dramma improvviso. In fondo, Catherine e Ryan Glover non sono poi così diversi, entrambi sono chiamati a riprendere il controllo dei propri spazi attraverso un processo tutto da inventare. Mentre la protagonista passa le sue giornate a sperimentare con i suoi registratori, i suoi synth, Glover pare prendere le misure di un contesto radicalmente cambiato, silenzioso, statico, puntellato da residui mediali legati alla pandemia, nel tentativo di sintetizzare un’idea di cinema nuova, che parta dalla tragedia ma sia capace di guardare oltre la ferita. Ma prima di tutto lo sguardo di Glover deve ripartire da zero, deve “reimparare a camminare”. Per farlo The Strings radicalizza la dilatazione temporale del post-horror contemporaneo nella convinzione che solo il “passo uno”, solo il tempo reale, possa ricostruire il rapporto tra immagine e rappresentazione.

The Strings

È il punto zero del film, che riscopre la logica del pedinamento, si attarda a raccontare le sperimentazioni musicali della protagonista, ma anche le sue crisi, attraverso lunghi piani sequenza e lascia che sia lei, attraverso la sua straordinaria presenza scenica, a misurare lo spazio ed i tempi del racconto. In prospettiva The Strings è dunque un libero film in divenire, in costante esplorazione dei suoi confini e affascinante proprio perché inafferrabile, tanto una riflessione sui rapporti tra cinema e lavoro artigianale, quanto un elogio dei tempi morti, a cavallo tra lo slow cinema, il musical ed il cinema verità (la protagonista, l’esordiente Teagan Johnston, è infatti lei stessa cantante, oltreché autrice dei brani che suonerà durante il film).

È un film rischioso The Strings, a tratti addirittura respingente e, forse, Glover se ne rende conto un attimo prima della vera rivoluzione. Il suo è in effetti un grande horror dell’arte, con al centro la depressione, l’apatia, l’insicurezza, il blocco creativo, ma Glover ha forse bisogno di qualcosa di più nazionalpopolare, qualcosa di più leggibile in termini emotivi.

Ed è qui che il film scricchiola, forse spaventato dallo spazio inesplorato con cui stava interagendo. Lentamente, The Strings compie un passo indietro, si lascia sedurre da un vuoto approccio artsy e se è indubbio che Glover sappia maneggiare bene i meccanismi della tensione, è evidente quanto il dialogo con il soprannaturale, salvo rari casi, sia imprigionato in un immaginario già riscritto da autori come Eggers e Aster. E così l’ultimo atto è tanto suggestivo quanto convenzionale, didascalico e dimostra, forse, quanto gli elementi horror tradizionali, i fantasmi, le possessioni, sopratutto se affrontati in questo modo, siano l’unica cosa fuori posto del film.

Sarebbe potuto essere un nuovo punto di partenza per un intero immaginario, The Strings, che invece ne afferra solo i presupposti e si lascia spaventare dalla portata dei suoi ragionamenti, tornando nel mondo delle ipotesi, delle sensazioni, degli esperimenti. E tutto diventa un’apertura verso un futuro per il momento inafferrabile.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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