This Is the End, di Vincent Dieutre

Dal Sicilia Queer FilmFest, una storia di amore disperato che si consuma mentre attorno si disintegra la realtà circostante, rivelando il nulla della macchina dello spettacolo

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L’apocalisse vista da un europeo in trasferta a Los Angeles. La fine del mondo e gli ultimi giorni dell’umanità mentre dilaga la epidemia Covid-19. Vincent Dieutre (Roland Blessè, Trilogie de nos vie defaites, Temps Morts) propone un ibrido tra falso documentario e diario intimo, partendo dalla propria biografia ed approdando a un apologo sulla vecchiaia, sul decadimento, sulla morte. Dopo aver rintracciato su Facebook l’ex amante Dean (Dino Koutsolioutsos), Vincent Dieutre decide di raggiungerlo in California alla ricerca del tempo perduto. I loro viaggi in Ford Mustang alla scoperta di Los Angeles riveleranno una città vuota, superficiale, simbolo della moderna società dello spettacolo. Unica ancora di salvezza è il The End Lounge Poet dove vendono recitati e rielaborati i componimenti di tanti autori letterari.
Il chiaro intento di Vincent Dieutre è lanciare un messaggio in bottiglia ai naufraghi della contemporaneità. E’ un urlo disperato che prova a scuotere lo spettatore portandolo al pensiero politico e filosofico, fuori dai luoghi comuni e dalle forme siliconate. Hollywood è uno specchietto per le allodole, un simbolo evidente di superficialità, di immagine priva di senso, di realtà oggettiva cui manca spessore e profondità. Los Angeles assomiglia ad un agglomerato urbano infernale infestato dai serpenti che si rifugiano nelle fresche acque delle piscine. Ogni tanto una scossa di terremoto ricorda che da un momento all’altro potrebbe arrivare il Big One.

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Vincent Dieutre propone un linguaggio sperimentale alternando i lunghi viaggi in macchina con le scene di sesso (girate come “reel” di facebook) e con l’ambiente teatrale in cui i tempi morti diventano vivi. Qui, tra luci stroboscopiche e filmati in retro-visione, si dona una nuova linfa al potere rivoluzionario della poesia. Sono parole affilate come lame che squarciano le maschere dietro cui nascondiamo le nostre tragedie personali. Jean Marc Barr, Elina Lowensohn, Kate Moran, Eva Truffaut propongono brani di filosofi, di antropologi, di poeti. Jim Morrison cantava This is the end proprio all’inizio dell’apocalisse coppoliana, qui siamo già oltre, nella terra desolata di Eliot, nell’uomo a una dimensione di Marcuse, nella psicopatologia degli anni 80 di Bret Easton Ellis, nella depressione maggiore dell’Infinite Jest di David Foster Wallace. S
e da un lato apprezziamo il continuo movimento erratico attraverso i quartieri alti e bassi della città, dall’altro veniamo sommersi da un flusso di coscienza la cui profondità di pensiero distoglie l’attenzione dal comparto visivo. Tra un pensiero di Bukowski e la poesia di Allen Ginsberg ci rendiamo conto della distanza incolmabile con le lettere vuote che formano la parola Hollywood. E’ finita la rivoluzione, è finita la contro cultura, siamo già in un viaggio nella dopo-Storia. Fotografato da Arnold Pasquier che gioca magistralmente con le luci degli split screen e con la opacità onirica degli interni, This is the end è una storia di amore disperato che si consuma mentre attorno si disintegra la realtà circostante, rivelando il nulla della macchina dello spettacolo. Vincent e Dean si abbracciano e si tengono per mano in movimenti meccanici e ripetitivi, ma rallentano di poco la caduta in questo abisso.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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