Titina, di Kajsa Næss

Abbondano i riferimenti alti ma a questo strano biopic sulle imprese del Maggiore Nobile manca l’unico elemento davvero necessario: il coraggio di trasporre l’epica e l’avventura in immagini.

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Non ha paura di portare in primo piano i suoi riferimenti, Titina, film d’animazione Norvegese ma dal respiro evidentemente spostato nella Francia di Chomet ma soprattutto di Besson. Perché la Titina del titolo è la Fox Terrier del Generale Umberto Nobile, che osserverà dal suo particolare punto di vista le due trasvolate del polo in cui accompagnerà il suo padrone, la prima, nel 1926, a bordo del dirigibile Norge, (insieme all’esploratore Roald Amundsen) e la seconda nel 1928, sul dirigibile Italia, che si concluderà con la tragica vicenda della Tenda Rossa.

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Eppure la mole di riferimenti a cui guarda, pare sostenere Titina solo nello spazio visivo, tutto elegante, curato, dominato dalle tinte pastello. Il film di Kaja Naess fatica, in effetti, a farsi davvero cinema, a trovare un passo efficace attraverso cui raccontare le imprese di Nobile, ad abbracciare una sua identità.

Forse lo tradisce già lo strano setup su cui si costruisce Titina, di fatto un cortocircuito di sguardi passivi che inizia quando, nel prologo, Nobile e la cagnolina, ormai anziani, riguardano i (veri) filmati d’archivio del loro viaggio e prosegue con Titina che assiste all’impresa nel suo farsi. Ma così il meccanismo sembra già incepparsi, prigioniero di un approccio testimoniale che lo fa restare costantemente un passo indietro rispetto all’Evento. Lo sguardo di Næss  si concentra dunque sui dettagli di sfondo, sulle slice of life, sulla quotidianità di Nobile, sulla progettazione del Norge, sugli infiniti spazi naturali sorvolati dal dirigibile e di contro annaspa quando è chiamata a scegliere un punto di vista attraverso cui percorrere il racconto, a tal punto che quasi si contraddice, finendo per lasciare Titina all’angolo e concentrandosi, piuttosto, sulle traversie dei due esploratori.

Ma anche in quel caso procede senza troppa convinzione, incapace di trasporre tra le immagini l’epica e la follia delle due spedizioni, elementi che invece, paradossalmente, sembrano nutrire ogni fotogramma di quel repertorio che intervalla le immagini del film stesso.

Si tratta, con una buona probabilità, di una scelta funzionale. Titina non ha la potenza di fuoco necessaria per raccontare davvero i momenti più complessi dell’avventura di Nobile e allora si appoggia ad altri materiali per spingersi in spazi in cui, da solo, non potrebbe arrivare. Meglio, piuttosto, accontentarsi di un approccio più pacato, a suo modo umanista, di una storia di avventurieri nevrotici, con tutto il loro carico di limiti, debolezze, capricci. Eppure Kajsa Næss (autrice anche dello script, insieme a Per Schneirer) pare ripiegare su una scrittura che pare nascondere comunque una fuga nei confronti di uno spazio narrativo che riesce a maneggiare solo a fatica.

Titina

Non mancano, certo, le idee, le suggestioni, a partire, forse, da un’affascinante malinconia che si fa strada nel racconto, tra un Nobile sempre più isolato dall’equipaggio del Norge ed il silenzio che domina tra gli hangar ed i campi base, ridotti a muti testimoni dello schianto del dirigibile Italia. Ma sembrano tutti abbozzi, tentativi falliti di entrare a gamba tesa nel flusso di immagini.

Titina è sempre più lontano dal centro dei fatti, sempre più distratto, ostinato a tallonare i suoi personaggi anche nelle situazioni difficilmente praticabili, come quando prova a raccontare la rivalità tra Nobile ed Amuldsen con un respiro che sa di legal thriller riducendonal però giocoforza ad un capriccioso battibeccare tra i due personaggi. Così il film va in debito d’ossigeno e si chiude in uno spazio noto, controllabile, da cui emerge solo poche volte. Quando lo fa, quasi strozza la narrazione per evitare esiti magari troppo crudi, come nell’inattesa sequenza in cui Titina stessa rischia di diventare il pasto di Amuldsen e di parte del suo equipaggio; in altri casi, pare proteggersi con lo sguardo di qualcun altro, come nei gustosissimi exploit che ritraggono un grottesco Mussolini teso tra Bonvi e Porco Rosso, tra il nazionalismo più spinto e la sua inconsapevole parodia.

Così Titina non può che apparire leggerissimo, quasi inconsistente. A sopravvivere, sul fondo, rimane un certo gusto nel raccontare la dimensione apollinnea del rapporto tra uomo, tecnica e natura, la sproporzione tra i mastodondici volumi dei dirigibili e la figura umana, affascinante e spaventosa al tempo stesso. Lì, in un paio di scene pare esserci quello sguardo cinematografico che il film ha costantemente frustrato, da lì, forse, si sarebbe potuto costruire il vero passo di Titina. Ma manca la consapevolezza di ammettere che l’approccio che si sta cercando di inseguire è (anche) quello di un maestro come Miyazaki, il cui peso, tuttavia, per Kajsa Næss sembra comunque insostenibile.

Meglio, piuttosto, citarlo soltanto nel finale, in quello che pare, a tutti gli effetti, un altro punto di fuga.

 

Titolo originale: id.
Regia: Kajsa Næss
Voci: Jan Gunnar Roise, Kåre Conradi, Anne Marit Jacobsen, John F. Brungot, Ingar Helge Gimle, Thorbjørn Harr
Distribuzione: BIM
Durata: 91′
Origine: Norvegia. 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
Sending
Il voto dei lettori
3.43 (7 voti)
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