Una stanza tutta per sè, di Matan Yair

Il primo lungometraggio del regista israeliano è capace di trovare la chiave politica ed esistenziale che spinge un diciassettenne a cercare il suo posto nel mondo. Gran bel lavoro di scrittura.

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Una stanza tutta per sè è il primo lungometraggio di Matan Yair, quarantaseienne di Gerusalemme che in passato ha lavorato soprattutto come sceneggiatore. Mancano in Italia opere del suo passato in cui ha collaborato alla scrittura ed è un peccato, a dire il vero, perché di spunti interessanti e meritevoli di approfondimenti ce ne sarebbero. Il titolo riporta ovviamente alla memoria il testo letterario di Virginia Woolf, sicuramente di indubbio valore per il movimento femminista. Detto questo in realtà sembra che l’omonimia di titolo vada poco oltre una semplice coincidenza. Qui il fulcro della questione riguarda la paternità assente. Una stanza tutta per sé segue le vicende del diciassettenne Uri, che ha fallito il suo primo colloquio con l’esercito commettendo un clamoroso errore: ha detto la verità. Uri ha rivelato in fase di colloquio che negli ultimi tempi ha condiviso la stanza con sua madre. Il motivo è che da quando suo padre se n’è andato di casa, la madre non è più voluta tornare a dormire nella loro camera da letto e da allora dorme con il figlio nella sua stanza. Il ragazzo, inoltre, ha ammesso candidamente allo scrutinatore che non pensa di essere affatto adatto all’esercito. Mentre si avvia verso la conclusione dell’ultimo anno del liceo, Uri si ritrova alla ricerca della propria strada e – metaforicamente – della propria “stanza” da cui affrontare il mondo degli adulti.

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Non è certamente un disadattato Uri, neanche un complessato. La forza di questa opera sta probabilmente proprio nella capacità di restare in bilico, nella perenne incertezza quotidiana dell’esistenza, magari non cercando a tutti i costi la profondità della drammatizzazione, ma preferendo, con merito, una comunione improbabile di complicità nel convulso tempio senza fede. Come un intervallo fugace, che si concretizza nell’incrocio fugace di sguardi tra madre e figlio in pizzeria, una semicroma, di silenzio, di sollievo, nel coro infernale dell’imbottigliamento formale. Uri non passeggia, non vaga, avanza. Termine bellico in un Paese in cui risuona ancora la sirena: avanzare non frontalmente (al fronte, d’altronde, Uri potrebbe non arrivarci mai…) ma scegliendo i sentieri più tortuosi e meno conformisti, anche quando al compito di storia la professoressa gli contesta tra i motivi dello scoppio della seconda guerra mondiale la mezza età di Hitler. Una stanza tutta per sè racconta (politicamente) quindi non l’attrazione per la diserzione o un’inarrestabile e coinvolgente malinconia errante, ma semplicemente l’ispirazione del protagonista a trovare un posto per abitare la distanza, perché non abitare la sua afflizione gli sarebbe insopportabile.

 

Titolo originale: A Room of His Own
Regia: Matan Yair
Interpreti: Yarden Bar-Kochba, Gilad Lederman, Israel Bright, Dror Keren, Neta Roth
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 81’
Origine: Israele, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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