Wundermediterraneankammer, di Carlo Michele Schirinzi

Presentato all’appena conclusosi Laceno d’Oro 48, ecco l’ultimo cortometraggio di Carlo Michele Schirinzi. Politico e surrealista, il film mostra ciò che resta dell’umanità, tra arte e materia

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Wundermediterraneankammer, l’ultimo cortometraggio di Carlo Michele Schirinzi visto in concorso al Laceno d’oro 48, porta avanti un discorso fortemente politico, servendosi di un’atmosfera surrealista. Si tratta di immagini che appartengono ai lavori precedenti del cineasta pugliese, ma rimaneggiate e rielaborate, con uno scopo diverso.

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Il titolo fa riferimento all’espressione tedesca Wunderkammer: la stanza delle meraviglie. “Il termine fu usato in origine (16° sec.) per indicare l’ambiente («camera delle meraviglie») destinato a raccogliere esemplari rari o bizzarri di storia naturale o artefatti. La W. è all’origine del concetto moderno di museo, poiché all’interesse per il ‘meraviglioso’ unisce il bisogno di conoscenza sistematica.”
E in un certo senso è un viaggio in un museo quello che Carlo Michele Schirinzi ci fa compiere, negli abissi di una umanità, se così possiamo chiamarla, frammentata e scissa.
Il mediterraneo è fatto di icone dimenticate, degradate; esplosioni notturne; volti sfocati, illuminati da torce deboli; “copie non originali”.

Cosa resta del “meraviglioso” mediterraneo?

Artaud, citato all’inizio del cortometraggio, parla del “soggettile” – “ciò che è in un certo modo steso (couché) sotto (sub-jectum), come una sostanza, un soggetto o un succube.”; “il luogo di una precipitazione, se non addirittura di una perforazione, nell’istante stesso in cui un tale proiettile ne scalfisce la superficie”; “il soggettile tuttavia non è niente, niente se non un intervallo solidificato tra il sopra e il sotto, il visibile e l’invisibile, il davanti e il dietro.”
Schirinzi sembra mettere in scena proprio questo. Il sopra e il sotto, la pelle porosa su cui restano le testimonianze di un passaggio, di una vita, di un soggettivo. Non vediamo mai dei corpi nella loro interezza: vediamo figure di spalle, facce irriconoscibili, ecografie ingrandite, cadaveri trascinati dalla corrente.
Persino nell’unione dei corpi il corpo non viene riconosciuto nella sua umanità, nella sua interezza. Mani sulla carne – pensiamo ai marmi di Bernini. Il corpo non vive la sua corporalità ma funge come ennesimo supporto. Il soggettivo viene rimpiazzato dal concetto di soggettile – ed in questo mosaico di immagini (tratte appunto dai precedenti lavori di Schirinzi, ma “ricostruite”) a cui viene data nuova vita, non troviamo traccia del presente.
C’è un passato importante che si agita tra le immagini; testimone di uno sconforto esistenziale che plasma la materia.
Inscritta nel legno, leggiamo la frase: “L’ultimo volo dell’angelo”. Intermediario fra il cielo e la terra, fra Dio e gli uomini, questa figura religiosa si trova in mezzo, tra due mondi. Schirinzi posiziona la macchina da presa in questo spazio incerto: siamo abbastanza vicini alla natura da poterla scrutare, odorare persino ma non abbastanza vicini da poterla apprezzare. Le musiche aleggiano come allarmi, come sirene, quelle creature che s’intrufolano in un immaginario collettivo, che resta da qualche parte, presente ma informe.

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