Zafira – L’ultima regina, di Damien Ounouri e Adila Bendimerad

Finché si muove sul confine tra Storia e leggenda, riesce a restituire un alone mitologico alla sua eroina. Ma fatica ad emulare quegli stessi linguaggi shakespeariani a cui, stancamente, si ispira

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In Zafira – L’ultima regina tutto è ubicato sul confine tra la realtà e la leggenda, tra lo spirito autentico della storiografia e la sua falsificazione. La cornice passata in cui si iscrive il film, ovvero il Regno di Algeri agli inizi del XVI Secolo, è attraversata da una propensione narrativa verso la fedeltà storica, da far transitare attraverso l’accuratezza dei costumi, la definizione delle relazioni socio-politiche del periodo e, soprattutto, per mezzo della vitalità di personaggi veri, immediatamente riconoscibili, su cui si iscrivono i codici culturali di un’intera nazione. Eppure il racconto desidera materializzare la Storia (quella con la S maiuscola) mediante la contaminazione con ciò che le è (almeno apparentemente) contrario: il mito. Perché? Il motivo è da ritrovare proprio nella figura pseudomitologica di Zafira: una donna sulla cui reale esistenza esistono dubbi, e che ha attraversato incontrastata i Secoli proprio in nome della connotazione fiabesca di cui si carica la sua eredità.

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Ci troviamo nell’Algeri del 1516, in piena dominazione spagnola. Il regno vive un periodo di pace apparente, di cui i dominatori si sono fatti paradossalmente artefici e garanti. Ma le tensioni nelle stanze reali appaiono lontane dal placarsi, specialmente dopo aver udito dell’imminente arrivo del pirata Aruj Barbarossa, intenzionato (ma lo è davvero?) a liberare la popolazione dal giogo degli spagnoli. Ma pochi giorni dopo aver suggellato un accordo con il Re Salim, marito di Zafira, la nazione perde improvvisamente il proprio regnante: qualcuno lo ha ucciso, e gli indizi non lasciano dubbi su chi sia stato il responsabile. Eppure è proprio su questo versante, sulla necessità cioè di intersecare la Storia con la sua contraffazione, che Zafira – L’ultima regina sedimenta (con precisione) tutti i suoi depistaggi narrativi.

Finché il racconto si muove sul filo del dualismo, Ounouri e Bendimerad (che dà anche il volto a Zafira) mostrano una grande lucidità nel connotare la propria protagonista con i canoni del mito, restituendo così alla fantomatica figura della regnante un alone deliberatamente leggendario, che le permette di portare il (suo) racconto verso orizzonti sfuggenti ed elusivi. E più la donna si profonde in azioni ambigue, più Zafira – L’ultima regina riesce a legare la doppiezza dell’aristocratica (sia morale, che iconografica) ad una narrazione intenzionalmente falsa, che non offre sicurezze né risposte certe.

Laddove però Zafira – L’ultima regina mostra le sue (numerose) incongruenze è nell’adozione delle grammatiche shakespeariane: una reiterazione stanca, destinata a rimanere in superficie, tanto da respingere le psicosi viscerali di un King Lear o le tensioni erotiche di Antonio e Cleopatra. Peccato. Perché nonostante le imperfezioni, il film decide di credere fermamente al mito. E in nome del celebre assunto di John Ford, per cui “tra la leggenda e la realtà vince sempre la prima”, i due cineasti dimostrano, una volte per tutte, come il cinema sia ancora la più grande macchina mitopoietica della contemporaneità.

 

Titolo originale: El Akhira. La dernière reine
Regia: Damien Ounouri, Adila Bendimerad
Interpreti: Adila Bendimerad, Dali Benssalah, Dimitri Boetto, Tahar Zaoui, Imen Noel, Nadia Tereszkiewicz, Yanis Aouine, Ahmed Zitouni, Tarik Bourrara, Tenou Khilouli, Slimane Benouari
Distribuzione: Kitchen Film
Durata: 110′
Origine: Algeria, Francia, Qatar, Arabia Saudita, Taiwan, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
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