Zucchero Sugar Fornaciari, di Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano
Ha il merito di concedere buono spazio anche alle sessioni fatte con strumentisti eccezionali e a concerti straordinari ma sbanda quando lascia in secondo piano alcuni aspetti. In sala dal 23
Blues. La parola preferita da Zucchero, il musicista italiano vivente che senza dubbio vanta il maggior riconoscimento internazionale, viene detta dal cantante per la prima volta nel primo minuto di questo Zucchero – Sugar Fornaciari di Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano. Da lì in poi la ripetizione di quello che per l’uomo che ha “casa dove posa il cappello” (bella chiusa del documentario) è un genere musicale, uno stile di vita ma soprattutto una visione filosofica avverrà così spesso che anche l’orecchio si abitua a queste continue occorrenze, come se fosse uno dei riff che lo contraddistingue. Il documentario di Zanella e De Stefano racconta i fasti (tanti), le crisi (poche) e le incredibili collaborazioni di uno dei suoi interpreti e cantori più tipici, appunto, che il nostro Paese ha espresso tirandolo fuori da uno delle terre all’apparenza più distanti dal retroterra culturale che vi soggiace: l’Emilia-Romagna. Ma, come detto in maniera fulminante da Francesco De Gregori, in realtà anche la musica del suo amico-collega Zucchero viene dal “cotone”, ovvero dalle mondine che cantavano i loro dolori e loro gioie mentre passavano ore chine sui campi.
La cifra principale di questo documentario è allora di prestarsi consapevolmente, per larga parte, ad essere il megafono visivo della ricchissima epica di Zucchero facendosi e facendoci affascinare da un mondo considerato ancora “altro”, come dimostrato dalle sequenze paludate dei Sanremo ’82/83 in cui ad un giovane Zucchero viene intimato di rinunciare ad arrochire la sua voce per invece prestarsi ad un look inamidato buono per il carrozzone nazional-popolare. Da questo punto di vista gli elogi di intervistati celeberrimi come Sting, Brian May, Andrea Bocelli e Bono servono a dare sfumature diverse alla storia di quest’uomo dedito in maniera quasi ossessiva alla celebrazione della musica del diavolo, come la chiama egli stesso a fine documentario. Se Zucchero Sugar Fornaciari sbanda in alcuni casi – il montaggio e la grafica delle tappe toccate durante il World Wild Tour, un lavoro più da ufficio stampa che da opera indipendente – per completezza fandomica, dall’altra ha il merito di concedere buono spazio anche alle sessioni fatte con strumentisti eccezionali e a concerti straordinari, come quello del 2012 dell’Avana 2012 nella Cuba sotto embargo. In questa storia di successo a mancare però, quasi inevitabilmente, è la crisi dell’uomo che faccia appassionare anche chi è poco cultore di questo artista così longevo e, a latere, di un sound che per sbarcare le nostre classifiche ha sempre avuto bisogno di contaminarsi col bel canto. Zucchero Sugar Fornaciari non ha allora la prontezza di cogliere alcune interessanti deviazioni che rimangono quindi solo accennate. Il parallelo tra le campagne dell’Emilia-Romagna e le paludi di New Orleans o la depressione che ha colto Zucchero proprio nel momento di maggior successo andavano rimpinguate avendo magari il coraggio di rinunciare alle domande finali sulle canzoni preferite della sua discografia.
Regia: Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano
Distribuzione: Adler Entertainment
Durata: 100′
Origine: Italia, 2023