Anni da cane, di Fabio Mollo
Un teen drama perfetto per la Generazione Tik Tok. Saltano le gerarchie e l’immedesimazione con la rom com americana è totale. Il risultato finale affascina ma fatica a trovare la sua cifra personale
“Non voglio dire che siamo infinito, però…”. È una frase sospesa, che cita l’omonima rom com di Stephen Chboski, quella che improvvisamente pronuncia Giulio, la chiosa di un giuramento che lo legherà a Nina e a Stella. Quest’ultima, a sedici anni è convinta che morirà presto e quindi deve fare più esperienze possibili prima che sia troppo tardi, tra cui, immancabile, la perdita della verginità.
In quella frase che suggella la complicità tra i tre personaggi, o, meglio, nel modo in cui questa promessa viene disattesa, c’è tutto Anni da cane. Giulio, in effetti, ha torto, perché il film di Fabio Mollo è costellato da riferimenti all’intrattenimento Young Adult, tra film e serie che sono solo citati ed altri che danno corpo al racconto, dalla fotografia di Euphoria agli intrecci di Riverdale in un continuo rimpallo tra immaginari. Anni da cane è un teen drama su misura per la generazione Tik Tok, quella immersa nel digitale, nei media spuri, quella per cui saltano tutte le gerarchie.
Il film di Mollo è radicale in questo senso: prende il linguaggio della Rom Com americana e vi si attiene senza esitazione. Il risultato è un’affascinante non luogo, che rifiuta quasi completamente Roma, in cui il liceo Mamiani ricorda una High School, a colazione si mangiano waffles e le feste nelle residenze borghesi sembrano quelle nei sobborghi di New York. Il risultato è una comedy vivace e calibrata, in cui tutto funziona al millimetro e che come la sua protagonista si muove di continuo mischiando i registri, i toni e le atmosfere, spaziando dal demenziale all’introspettivo.
Eppure, alla lunga, il film pare accusare una certa stanchezza. Il sistema rimane perfettamente a fuoco ma la fedeltà estrema a certi immaginari non permette ad alcune interessanti iniziative personali dello script di trovare uno spazio fertile. E così le riflessioni su nuovi tipi di mascolinità e le riletture dell’adolescenza borderline non riescono mai a emergere davvero all’interno del sistema istituzionale della Rom Com. Chiuso nel suo meccanismo ad orologeria Anni da cane è quindi un film inedito per il mercato italiano ma in cui tutto, in prospettiva, è già visto.
Il film di Fabio Mollo coinvolge ma vive su un’anima in prestito e non trova mai un passo che sia davvero suo, che esuli da modelli pregressi o da loro riletture, a tal punto da rischiare di essere solo uno sterile esperimento giocoso su linguaggio e genere. Forse, la vera voce di Anni da cane si percepisce nella scena centrale del secondo atto, non a caso ambientata in una riconoscibile periferia romana. Lì la tragedia irrompe e l’affascinante ma effimero velo di finzione che ha ammantato il film fino a quel momento va in mille pezzi. Un momento straordinario nella sua semplicità. Peccato che nessuno, forse, se ne sia accorto, preferendo rimanere chiuso nel suo laboratorio.