Citadel, di Josh Appelbaum, Bryan Oh e David Weil
Quello dei Russo è sempre più un cinema di dati, test, configurazioni e Citadel ne è ’esempio più affascinante ma anche inquieto: e se la serie non avesse più bisogno di uno spettatore? Prime Video
Quanti anni pensate ci vorranno prima che – vi sto chiedendo una previsione a spanne, ovvio – l’intelligenza artificiale raggiunga una maturità tale da poter sviluppare da sola un film tale che chi lo guarda possa dire: “Uh guarda! È un film modellato da una AI!”?
Joe Russo: Mah, ti direi due anni…tu che dici Donald?
Donald Mustard: Ma si, credo anche meno, personalmente.
La conversazione tra Joe Russo, Donald Mustard (CCO di Epic Games) e Steve Weintraub di Collider, svoltasi nei giorni del Sands Film Festival 2023 pare sempre più un testo cardine per comprendere il destino e gli obiettivi del cinema digitale, tesa tra intelligenza artificiale, potere degli algoritmi, nuovi modi di fruire le immagini.
Ma a raccontarne l’importanza basterebbe riflettere sul peso dei due intervistati: da un lato Mustard, capo del dipartimento creativo della software house di quel Fortnite che, sottotraccia, è divenuto l’esperimento di metaverso (giocabile) definitivo, dall’altro la metà di un duo centrale per il cinema contemporaneo, che fin dai tempi dell’MCU ha interrogato il potenziale delle immagini sintetiche, ha esplorato la delocalizzazione degli immaginari e ha ragionato su un immaginario prettamente digitale.
Ma soprattutto ha riflettuto anche sul peso dei dati.
Ed in effetti, parlando di AI, forse Joe Russo si rende conto che anche il cinema in cui agisce insieme al fratello, soprattutto, ovvio, quello pensato per le piattaforme, in primis quello che fa capo al lucidissimo The Gray Man sembra un cinema generato da algoritmi, meglio ancora, un cinema che si nutre di data set, di immagini pre esistenti, quasi una profezia dello scenario immaginato durante la conversazione. Ed in effetti lo spy thriller con Ryan Gosling pare davvero un gigantesco, costosissimo contenitore di suggestioni, stili, punti di vista sul genere che punta all’eye sight, alla vista dello spettatore ma anche, in tralice, ad educare la piattaforma a progettare il contenuto perfetto ad ogni costo.
Citadel, la nuova serie Prime Video, sviluppata da Appelbaum, Oh, Weil e supervisionata dai Russo Bros prosegue evidentemente la linea di ragionamento “digitale” dei due registi, ora spinta a piena maturazione, quasi fosse la nuova versione di un ecosistema per la creazione di contenuti pronto al comando di boot.
Anche per questo si fa fatica ad approcciare Citadel secondo gli strumenti tradizionali. Perché questo spy thriller su due operativi di un’agenzia d’intelligence dati per morti costretti a riunirsi per contrastare la controffensiva del sindacato criminale Manticore, pare concentrarsi sempre più sulla macchina, sul dispositivo e non manca mai l’occasione di mostrarsi soprattutto come un sistema narrativo che si costruisce di fronte allo spettatore o, ancor meglio, uno studio visivo su specifici target e contenuti.
Lo racconta benissimo la spiazzante sequenza iniziale, inerte, prevedibile, ambientata su un treno che sembra assommare in sé tutti i treni possibili ma che setta evidentemente il mood formale/emotivo della serie, tra il database in costante aggiornamento degli stilemi della spy story (i riferimenti, come per Gray Man sono i soliti, Greengrass, Cruise, il Bond di Craig) ed il focus rivolto ai rituali della fruizione contemporanea. E in questo senso forse a colpire di più è la costruzione quasi chirurgica della serie, suddivisa in sei puntate di poco più di trenta minuti ciascuna, la maggior parte organizzate attorno ad un lungo set piece, ad uno stunt, ad una sequenza action, perché, come si è detto, nulla è più importante della conservazione della soglia d’attenzione dell’utente.
E alla lunga il risultato non può che essere affascinante, per quanto paradossale, rigidissimo sul piano narrativo, quasi asettico come gli spazi dove finiscono rinchiusi i personaggi, asfissiato da un invilluppo di linee narrative, doppi giochi, tradimenti, eppure chiarissimo nel modo in cui squaderna i caratteri del nostro abisso digitale quotidiano, tra corpi espansi, biocontrollo, AI, singolarità cospirazioniste.
Ma soprattutto, a guidare Citadel nello Zeitgeist contemporaneo c’è quest’evidente idea di franchise Work In Progress, in aggiornamento continuo, la definizione, inquadratura dopo inquadratura, di una lore complessa (vicinissima, a suo modo, a quella Wickiana) ma abbastanza vago per permettere a tutti i progetti satellite che seguiranno di entrarci agevolmente a contatto.
Dove si pone, l’uomo, all’interno del processo? Probabilmente in quell’evidente residuo melò che torna da The Gray Man e che via via caratterizzerà non soltanto la temperatura emotiva della serie ma anche il modo in cui si strutturerà il rapporto tra i due personaggi. E tuttavia la questione rimane. Sottintende ancora la presenza di un pubblico, Citadel, oppure la serie dei Russo soccombe alla sua stessa profezia, quella di un contenuto che non ha più bisogno di un pubblico per sostenersi?
Titolo originale: id.
Creata da: Josh Appelbaum, Bryan Oh e David Weil
Regia: Newton Thomas Sigel (in collaborazione con Jessica Yu per gli episodi 3 e 4)
Interpreti: Richard Madden, Stanley Tucci, Priyanka Chopra Jonas, Leslie Manville, Ashleigh Cummings, Leslie ManvilleDistribuzione: Prime Video
Durata: 6 Episodi, 39-49′ minuti a episodio
Origine: USA, 2023