City Hunter The Movie: Angel Dust, di Kenji Kodama e Kazuyoshi Takeuchi

Anche se autoreferenziale, gode di una libertà encomiabile. Ma a sorprendere è la fiducia con cui crede nei valori del suo iconico eroe: e nella catarsi che solo il calore umano può restituirgli

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Da qualunque prospettiva lo si osservi, appare evidente quanto City Hunter the Movie: Angel Dust sia votato ad un approccio teorico, sul mondo del film, sui personaggi che lo popolano, e per estensione sull’universo stesso di Tsukasa Hōjō. Non è un caso, infatti, che il lungometraggio – il secondo di una probabile trilogia – leghi il proprio incipit all’intero immaginario fumettistico creato dal suo iconico mangaka, aprendosi al tempo stesso ad una potente dichiarazione d’intenti, soprattutto per quel che concerne la traiettoria narrativa del protagonista/mito dell’opera. Qui Ryo Saeba, coadiuvato dall’avvento delle sorelle Occhi di Gatto, è inquadrato mentre tenta di sventare uno dei tanti crimini che la sua natura di “sweeper” gli richiede di risolvere: ma l’operazione si rivelerà più complessa del previsto, sia perché appare impossibile da decodificare, sia per la valenza simbolica che l’incontro con la villain del racconto eserciterà per il suo percorso: portandolo così a confrontarsi con le crisi del suo passato, e a definire la sua immagine presente (di professionista, di uomo, e forse anche di amante) a partire dalla neutralizzazione di ciò che pensava fosse ormai seppellito.

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Se l’incipit di City Hunter The Movie: Angel Dust estende lo sguardo all’universo creativo di Hōjō, il resto del racconto è pienamente attraversato da un tentativo di mitizzazione del personaggio di Ryo Saeba, che parte, però, da una sua paradossale decostruzione. Per una buona parte del film ci troviamo nei classici territori codificati dal manga: insieme alla fedele collega Kaori, Ryo accetta da una fantomatica videomaker la missione di ritrovare il suo gatto, ma come tipico delle strategie narrative del mangaka, ogni volto o elemento cela in sé un segreto nascosto: in realtà l’obiettivo della falsa-cliente Angie è quello di uccidere l’uomo, ed ergersi a punto apicale del programma militare sotto cui lei – e lo stesso Ryo – erano stati cresciuti per diventare delle micidiali macchine di distruzione. Ma il suo piano, ostacolato da sicari in cerca di quella tecnologia che permette di creare super-soldati (appunto, la Angel Dust) catapulterà i due in un fatidico viaggio memoriale. Con esiti propriamente opposti.

Quel che permette a City Hunter The Movie: Angel Dust di ritagliarsi uno spazio singolare nell’universo del manga, senza per questo tradire i canoni su cui ha fondato la sua mitologia, è questa comparazione continua di percorsi inversi e al tempo stesso sovrapponibili, la cui riuscita è da ricondurre proprio alla capacità (o forse, all’ostinazione) del film di legare l’evoluzione di Ryo Saeba, il suo percorso di umanizzazione, ad una traiettoria semanticamente contraria come quella a cui desidera andare qui incontro la donna. Se l’uomo ha trovato la sua dimensione ideale nell’immagine di vigilante, e nella continua ricerca di un calore che solo i rapporti umani – soprattutto quelli con il genere femminile – possono restituirgli, lei invece si inabissa nell’afasia emozionale, nella necessità cioè di individuare nella disumanità dell’omicidio una (improbabile) via di redenzione. Non a caso il protagonista, il cui vero nominativo è ignoto, ha sposato pienamente la nuova identità che lo pseudonimo “Ryo” sottende; Angie, conosciuta addirittura con il nome in codice “Anonima”, non ha neanche un aggancio nominale a cui aggrappare la costruzione di una personalità forte e definita. Ed è in faccia a questo scontro/incontro di percorsi che il racconto farà esplodere, con coerenza, tutte le istanze che lo attraversano.

Esiste però il rovescio della medaglia. Seppur City Hunter The Movie: Angel Dust appaia contraddistinto da un dinamismo e da una libertà impossibile da ritrovare nel precedente film del 2019, frenato com’era dal peso di dover introdurre il mondo di City Hunter e il sistema di relazioni su cui si fonda, è anche vero che questo secondo lungometraggio rischia spesso di inabissarsi in gag fin troppo ridondanti o in intrecci secondari che appaiono perlopiù abbozzati e poco approfonditi. E le stesse citazioni interne al racconto, come quella relativa a Gundam (prodotto anch’esso dalla Sunrise) o alla coesistenza di Lupin III e Occhi di gatto, non vanno mai oltre la mera soglia del richiamo emotivo, né offrono il fianco a ragionamenti più ampi sul significato che risiede alla base di questi crossover, e ai possibili discorsi che sottendono.

Eppure, davanti ad un film come City Hunter The Movie Angel Dust, così ostinato a credere nel suo protagonista e nei valori su cui ha delineato la sua esistenza presente, non si può che ammirare la radicalità con cui arriva a mitizzare la figura di Ryo Saeba, partendo da una comparazione con il suo “opposto”. Ciò che qui Angie rappresenta è, a tutti gli effetti, il riflesso stesso dell’eroe. Proprio perché il suo percorso verso la desensibilizzazione sbatte in faccia al protagonista la deriva disumanizzante a cui avrebbe potuto tendere, se non avesse trovato nel contatto con Kaori la ricetta per smarcarsi dalle crisi del passato. E tornare ad essere umano. Quasi come se l’immersione nell’universo fumettistico di Tsukasa Hōjō fosse la sola via per la pacificazione. In un omaggio ai linguaggi codificati dall’artista, che rende giustizia al posizionamento simbolico che City Hunter mantiene, da quasi quarant’anni, nell’immaginario pop nipponico.

Titolo originale: Gekijōban City Hunter: Angel Dust
Regia: Kenji Kodama, Kazuyoshi Takeuchi
Voci: Akira Kamiya, Kazue Ikura, Tesshō Genda, Mami Koyama, Yōko Asagami, Ken’yū Horiuchi, Chika Sakamoto, Hideyuki Tanaka, Rica Fukami, Subaru Kimura, Miyuki Sawashiro, Tomokazu Seki, Keiko Toda
Distribuzione: Anime Factory
Durata: 96′
Origine: Giappone, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
2.75 (4 voti)
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