Demeter – Il risveglio di Dracula, di André Øvredal

Cede sul finale ma Øvredal si conferma un regista rigoroso ed appassionato, qui pronto a riscoprire la contemporaneità di un modo di intendere l’horror apparentemente perso nel tempo.

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Quello di Øvredal è sempre più un cinema monacale, ascetico, retto da regole definite, severe: l’impostazione minimale, l’unità di luogo, il limitato gruppo di personaggi. Un po’ come a voler seguire dei dettami stringenti per trarre il meglio dal progetto e dal genere. Demeter – Il risveglio di Dracula è il suo sesto film ma sembra il progetto con cui alzare definitivamente la posta in gioco di tutto il discorso creativo del suo regista. Perché stavolta la coperta di Øvredal è cortissima. Demeter. Il risveglio di Dracula adatta infatti il settimo capitolo del Dracula di Bram Stoker, un diario di bordo in cui il capitano della goletta Demeter registra il lungo viaggio che porterà dall’Europa dell’Est a Londra il suo equipaggio ed il suo carico. Nella stiva riposa infatti il saccello di Dracula che, improvvisamente, durante la traversata si risveglierà e mieterà vittime tra la ciurma.

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Unico ambiente, setup da giallo della stanza chiusa, tra l’altro circondato dall’acqua che, da sola, pare tagliare le gambe a qualsiasi improvvisazione troppo ardita. Le regole sono evidenti e ben chiare e Øvredal pare reagire alla sfida che si è dato nell’unico modo possibile: abbracciandone pienamente i presupposti e riducendo tutto all’osso. Il risultato è un film teso tra il tributo ad un certo modo di intendere il genere negli anni ’50 e ’60 e l’appassionato spazio sperimentale in cui Øvredal insegue un progetto convintamente analogico, che esplora il suo potenziale esprerssivo a partire da tutto ciò che non può fare.

È, per questo, un film dalla radicalità affascinante, che costantemente pare voler riattivare formule, linguaggi, stilemi ormai in disuso o quasi: la tensione costruita su tempi dilatati, false piste, rumori spazializzati, la fotografia desaturata, il focus puntato sul lavoro attoriale e sulla scrittura, sui gesti che regolano i sottili equilibri tra i vari membri della ciurma, sui dialoghi tra il capitano Liam Cunningham, che si carica praticamente il peso del film sulle spalle ed il medico interpretato da Corey Hawkins, forse più acerbo, ma capace di dare corpo al miglior personaggio della sua carriera.

Ma la fascinazione antiquaria di Demeter. Il risveglio di Dracula pare solo il punto di partenza, la base per un film che in realtà si interroga costantemente proprio di frizioni tra immaginari presenti e passati e testa la tenuta di forme, di motivi centrali del cinema pop recente in uno spazio fuori dal (proprio) tempo. Lo tradisce forse già l’affascinante ossessione del racconto per il modo in cui comunicano i marinai in nave, per questi legni fatti risuonare per tenere sotto controllo gli spostamenti del mostro che ricorda quasi un sistema di comunicazione wireless, già di suo “futuro” ma lo conferma la sempre più evidente centralità che il film riserva alla forma database.

Non è un caso se, da un certo punto di vista, Demeter non nasconda neanche per un attimo la sua natura di progetto archivio, crogiuolo di immagini che pare voglia raccogliere tra gli spazi angusti di quella nave tutto l’horror che l’ha preceduto. Ed il passo con cui affastella riferimenti è entusiasta, velocissimo, quasi a voler dare la sensazione che in quello spazio minimale si possa davvero fare di tutto, dall’evocare Murnau a rigirare intere sequenze dell’Alien di Scott o dello Shining di Kubrick. Colpisce tuttavia che dall’archivio in aggiornamento costante organizzato da Øvredal manchi un solo fotogramma: quello dello stesso Dracula, lasciato spesso fuori campo, suggerito solo da suoni lontani, da exploit chiaroscurali, al massimo “in scena” solo attraverso le sue vittime. Si tratta di un altro spunto centrale del discorso di Øvredal, che probabilmente in tralice fa sua la lezione su mostro e fuori campo che Gareth Edwards sviluppò nel suo Godzilla e lascia intendere che, oggi, in epoca di overdose iconografica, l’unico vero atto di ribellione è nascondere l’immagine raccontandone solo i contorni. Ed è indubbio che, pur lavorando su motivi noti, il regista sia abilissimo nel trarre da essi il meglio, costruendo passaggi tesissimi pur in absentia del mostro.

Per questo, forse, colpisce notare quanto il film perda forza nell’ultimo atto, quando il vampiro esce in campo aperto per la resa dei conti. La mano di Øvredal è sempre ferma ma il tutto è immerso in un’atmosfera canonica, ben più leggibile di certi passaggi quasi sperimentali che l’hanno preceduta. Ma pare comunque un affettuoso ultimo affondo, quasi Øvredal cercasse, in tralice il contatto con la grande platea ben conscio che il suo cinema, così ribelle, raramente potrà parlare loro in modo più diretto di quello.

 

Titolo originale: The Last Voyage Of Demeter
Regia: André Øvredal

Interpreti: Liam Cunningham, Corey Hawkins, Aisling Franciosi, Stefan Kapicic, Nikolai Nikolaeff, Chris Walley, David Destmalchian

Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 119’
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
4 (6 voti)
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