DOCUSFERA #3 – Realtà fantasma. Incontro con Matteo Zoppis
Venerdì scorso la prima serata di Docusfera terza edizione con Belva Nera e Il Solengo di Zoppis e Rigo de Righi. Ecco cosa ci ha raccontato Matteo Zoppis in coda alla proiezione
Lo scorso 13 ottobre la terza edizione di Docusfera. Le forme del documentario italiano si inaugura con la proiezione di Belva Nera (2013) e Il solengo (2015) di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, i due lavori dei registi precedenti al fortunato Re granchio, il film presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2021.
Matteo Zoppis, presente in sala a Sentieri Selvaggi, palesa sin da subito il suo obiettivo di realizzare dei documentari che abbiano uno schema di sceneggiatura ben scritto e rigido, ma che ci sia allo stesso tempo anche uno spazio per manipolare la realtà, trasformandola e mescolandola ad altri racconti. Sono due film in cui l’oggetto è invisibile, i personaggi viaggiano nei racconti come se avessero trovato una nuova dimensione della realtà. Una realtà fantasma: le leggende e i miti circolano nell’aria senza vederli. “Con Belva Nera, il nostro corto d’esordio“, racconta Matteo Zoppis, “abbiamo trovato soluzioni formali classiche, riprendevamo i personaggi davanti il muro di questa casa verde, loro descrivevano la pantera e noi aggiungevamo dei dettagli per sapere cosa ne pensavano, dando corda alle loro buffe invenzioni. Nel secondo film, Il solengo, cercavamo una storia piena di contraddizioni. Molti dei personaggi filmati davano spesso una versione diversa della stessa storia e il nostro interesse di cercare la verità si faceva sempre più alto. Queste persone nel parlare di Mario, l’uomo vissuto per più di 60 anni da eremita in una grotta, parlavano in realtà di loro se stessi”. Zoppis racconta come la scuola di cinema americana da lui frequentata fosse ossessionata dalla regola dello ‘show don’t tell’: “Noi, invece, abbiamo deciso di raccontare non facendo vedere”.
I personaggi interpretano loro stessi, ma sembra stiano recitando: “in Belva Nera volevamo fare un ritratto, il film è molto scritto e lavorato e abbiamo manipolato la realtà affidandola ai personaggi che più ci piacevano, come l’attore e stuntman italiano Tony Scarf che sosteneva di aver catturato la pantera. Prima di girare Il solengo, invece, eravamo davanti a una tavolata ascoltando le storie di quegli anziani, e semplicemente dopo abbiamo deciso di riprodurre la storia e anche le posizioni di quel giorno. Abbiamo lavorato sulla distanza dei personaggi che interpretano loro stessi, con davanti una grande cinepresa che riprendeva il tutto”.
Nella trilogia di Zoppis e Rigo de Righi riecheggia costantemente il western e un certo modo di raccontare il Mito. A tal riguardo, Matteo commenta “c’era poesia dentro queste persone e volevamo ritrarle con delle manipolazioni. È molto difficile non essere invadenti e anche per questo ci siamo buttati sulla finzione. Abbiamo ripreso tutte le persone che all’inizio non volevano fare il film, all’inizio erano più buffi e purtroppo provando e riprovando si sono sciolti prendendo confidenza (dico purtroppo perché così si va a perdere quell’autentico disagio buffo e divertente). Io e de Righi nel frattempo esploravamo la nostra passione per i generi, come quello del western”.
Il montaggio ha ricoperto un ruolo non irrilevante in Il Solengo. Infatti, Zoppis dichiara che l’intento iniziale era quello di concentrarsi sulla sceneggiatura ma resosi conto della difficoltà di trovare un finale adatto alla storia, i due registi si sono affidati alle mani di uno esperto montatore creando tre possibili finali. Il lavoro è stato lungo e difficoltoso: il montaggio è stato per i cineasti una seconda regia del film.