Felix in Wonderland, di Marie Losier

Un ritratto del corpo di organi sonori di Felix Kubin, compositore che si muove nel paesaggio dell’elettronica e delle sperimentazioni sonore, dal Sicilia Queer Filmfest 2020

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Mettere insieme cose che non sembrano poter funzionare una accanto all’altra. Come la sovrapposizione di melodie di un’orchestra d’archi e di stralci di leggi della fisica quantistica urlate da un coro di voci bianche come fossero un manifesto. Sì, perché per Felix Kubin, compositore, musicista, artista di Amburgo, classe 1969, che si autodefinisce dadaista e che, a cavallo del suo Korg, si muove nel paesaggio dell’elettronica e delle sperimentazioni sonore, la musica è una questione di dissonanze, una questione atonale e astratta. E astratto, fatto di parti giustapposte ,che suonano come tante “diverse performance” è anche il ritratto di Felix Kubin girato da Marie Losier, cineasta della scena underground newyorkese che va filmando i suoi video ritratti, da Genesis P-Orridge in The Ballad of Genesis and Lady Jaye, passando per Tony Conrad, fino a Cassandro, in Cassando the Exotico!, come “se mi trovassi”, dice lei stessa, “ai primordi del cinema, ai tempi di Georges Méliès e dei fratelli Lumière”.

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Un racconto, quello di Felix in Wonderland, necessariamente artigianale e analogico. Alla stessa maniera della musica di Kubin. Un ritratto d’artista che ha grana spessa e materica della pellicola in 16 mm, con le sue bobine che durano pochi minuti, per poi essere già altrove, inseguendo una frequenza e, subito dopo, un’altra ancora. Felix Kubin crede nella fisicità del suono, non a caso gli esperimenti sui suoi microfoni masticati o dati alle fiamme fanno da cornice ai tableaux vivant messi in scena dalla coppia Kubin/Losier. Anche Marie Losier professa da sempre la fisicità, la fisicità del cinema. E, allora, questo Felix in Wonderland è un ritratto fatto di prossimità, che cerca di penetrare il corpo di organi sonori di Felix, come mostra la magnifica scena dell’operazione chirurgica dove Kubin è allo stesso tempo il medico e il paziente a cui vengono estratte le viscere/strumenti musicali. Un corpo, quello di Felix Kubin, e uno sguardo, quello di Marie Losier, entrambi in cerca di un suono e di un’immagine capaci di resistere alla morte. Perché di questo si tratta. Di resistenza.

Quando cadi inizi a sentire la musica”, Felix sogna spesso di cadere. Sogna di cadere da ogni genere di precipizio, talvolta anche da una stella. E la Losier lascia che il suo corpo precipiti, più e più volte, nel buio di uno sfondo dove ad esistere è unicamente la caduta, con la paura e il desiderio, il senso di totale libertà e assoluta solitudine che si porta dietro di sé. Solo così, abbandonandosi alla caduta libera, diventa possibile inseguire quel che si trova nel mezzo. Un suono che interferisce, come il sonoro volutamente asincrono del film, che apre pieghe nascoste nello sguardo della Losier. Alla stessa maniera di Lewis Carroll, che fa precipitare le parole nel gioco del non senso, liberandole così dalla necessità di significare, Felix in Wonderland, più che un ritratto, è un paesaggio senza generi in cui ritrovarsi, un viaggio alla ricerca dell’interferenza, della dissonanza intesa come immagine che non può essere risolta. Un’immagine che si carica della complessità dell’esistenza, che mostra, attraverso la ricerca musicale di Kubin, come l’identità sia un paesaggio in divenire, in perenne contraddizione con se stesso. Un paesaggio che diventa pura sonorità dissonante.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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