Funny Games, di Michael Haneke

Il film più sadico e teorico di Haneke torna in sala con I Wonder Classics. Dopo quasi trent’anni resta una visione scioccante per il modo in cui manipola le reazioni emotive dello spettatore.

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Padre, madre e figlio si trovano in auto in direzione della loro casa al lago ascoltando musica classica. La camera segue l’auto dall’alto ricordando vagamente l’incipit di Shining, quando ad un tratto un brano – extradiegetico – dei Naked City squarcia brutalmente l’armonia che lo spettatore stava respirando. Uno strappo netto che interrompe la serena quotidianità alto-borghese dell’allegra famigliola preannunciando uno sconvolgimento ancor più violento e devastante. Funny Games è un piccolo film austriaco presentato a Cannes nel 1997 diretto dall’allora cinquantacinquenne Michael Haneke. Fin dalle primissime proiezioni ha diviso il pubblico e scatenato discussioni di ogni tipo riguardo l’approccio sadico del regista e la rappresentazione fredda e spietata del dolore.

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Due giovani ragazzi vestiti di bianco entrano educatamente all’interno della casa di una famiglia borghese e la massacrano. La trama è piuttosto semplice e si potrebbe ridurre ad ancor meno parole poichè l’interesse dell’autore non è mai stato quello di raccontare una storia ma mettere in scena un esperimento con protagonista lo spettatore. La conferma di ciò è il remake statunitense del 2007 diretto da Haneke alla stessa maniera del precedente, un modo per affermare l’assoluta riuscita nell’intento di dieci anni prima. Spesso l’ingresso dei due uomini vestiti di bianco è stato accomunato a quello dei drughi di Arancia meccanica, sia per l’aspetto che per il modo di parlare forbito che caratterizza il celebre Alex DeLarge. La differenza sostanziale tra l’opera di Kubrick e quella di Haneke è la rappresentazione della violenza, o ultraviolenza nel caso di Burgess e Kubrick. Nel primo caso si parla di una distopia in cui la violenza è mostrata, estetizzata e in qualche modo giustificata all’interno di una storia che soddisfa lo spettatore con un arco narrativo ben preciso. Nel caso di Funny Games gli episodi di violenza sono celati al nostro sguardo, il regista ci priva in maniera fastidiosa del piacere scopico della visione e ci costringe a percepire l’azione tramite il sonoro e il fuori campo.

In maniera altrettanto sadica, l’autore obbliga lo spettatore ad osservare impotente gli effetti e le conseguenze di tali atti brutali, come nel caso dello straziante ed infinito pianosequenza a camera fissa in cui la donna tenta di liberarsi dopo aver assistito alla morte del figlio. L’unico atto di violenza effettiva a cui ci è permesso assistere è l’uccisione di uno degli aguzzini, un momento che viene immediatamente annullato dal tasto rewind di un telecomando. Haneke svela in questo modo come il gioco di cui parla il titolo venga manovrato da lui stesso e noi spettatori non siamo altro che inconsapevoli giocatori NPC. Alla morte del “cattivo” siamo quasi soddisfatti, come per un atto di giustizia divina, ma riavvolgendo il nastro Haneke provoca in noi un forte senso di frustrazione e ancora una volta, impotenza. Proprio qui il gioco dell’autore si compie in tutto il suo significato, ovvero svelare il desiderio morboso di vedere dello spettatore. Non è quindi la violenza in sé a disturbare, è la sua mancata rappresentazione e stilizzazione.

Benchè il pubblico sia cambiato negli anni e di conseguenza il film abbia perso di efficacia, Funny Games resta ancora oggi una visione scioccante per il modo in cui riesce a manipolare le nostre reazioni.

Titolo originale: id
Regia: Michael Haneke
Interpreti: Susanne Lothar, Arno Frisch, Frank Giering, Ulrich Mühe, Stefan Clapczynski, Doris Kunstmann, Christoph Bantzer, Wolfgang Glück, Susanne Meneghel, Monika Zallinger
Distribuzione: I Wonder Classics
Durata: 103′
Origine: Austria, 1997

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
Sending
Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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