Good Vibes, di Janet De Nardis

Lo spunto sci-fi di partenza fa da innesco ad un thriller-crime corale che in un crescendo rossiniano di implausibilità assume la confezione di una telenovela. Patinato e schiavo del proprio soggetto.

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In una delle prime scene di Good Vibes, esordio alla regia per la poliedrica Janet de Nardis, un consistente gruppo di pre-adolescenti si reca a scuola percorrendo strade dell’eterna periferia del Sud Italia, col loro impasto di brutto cemento sparso in assenza di un piano regolatore e selvaggia macchia mediterranea che vi (r)esiste dappertutto. I ragazzini arrivano nel plesso e, sorpresa, il parcheggio è pieno di centinaia di biciclette di coetanei che evidentemente hanno abbracciato anch’essi questo trasporto ecologico. Lo spunto più inaspettato del film arriva quindi qualche minuto dopo il lievissimo innesto che ha dato il via diegeticamente al film e che invece, purtroppo, mostra subito un fiato cortissimo. La trovata sci-fi simil-kinghiana di un misterioso smartphone che permette di avere accesso tramite la semplice digitazione del numero di telefono a tutti i dati, conversazioni, file video e tracciamento gps dell’apparecchio che si vuole hackerare trova infatti poco sviluppo dal punto di vista della scrittura. L’esordiente De Nardis utilizza lo script come rampa per catapultare lo spettatore dentro uno stranissimo coacervo di micro-storie che, seppur ambientate in terra calabra (lo si intuisce solo da una fiancata del bus locale, per il resto il film non vuole essere localizzato né geograficamente né socialmente), vogliono avere il respiro internazionale di un thriller-crime. Così ecco che le paturnie dell’adolescente Alessandro dovute alle angherie di cui è vittima, la scoperta dell’infedeltà della moglie da parte del poliziotto, le sordide manovre prima amorose e poi familiari dell’arrogante Gianni, il dramma del killer prezzolato  (Mimmo Calopresti) ed infine la confusa vicenda criminale del boss interpretato dal gigionesco Vincent Riotta hanno il ritmo di scrittura di una web serie che prova a fare cinema credendo che basti averne qualche mezzo.

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La coralità esibita che vorrebbe ampliare lo spettro tematico sembra quindi in realtà la somma di ciechi interventi a pioggia che bagnano a caso porzioni del discorso filmico aspettando che da alcuni di essi germogli qualcosa che incroci inquietudini ed ansie del presente. Si veda ad esempio la calcificata retorica dei temi trattati – dal bullismo al femminicidio fino al melò familiare con alcuni esiti scult come la battuta “Le bollicine sono una delle poche certezze della vita” – un uso della musica come didascalia di immagini che assorda il primo “episodio”, e soprattutto la patina della fotografia e degli interpreti, prevedibilmente spendibili nel mercato internazionale e in quello televisivo nostrano dopo la temeraria uscita in sala. L’esordio di De Nardis è così interessato a questioni di corna e scalate mafiose da sottomettervi anche le più pressanti questioni della privacy e dell’abbordabilità dei dati personali – qui relegata a qualche stantia battuta sulla pervasività dei cellulari che, tra l’altro, dimostra di mancare il punto – facendo del film un’occasione di riflessione inutilmente pessimistica (il loop finale) e piena di contenuti dissonanti.

 

Regia: Janet De Nardis
Interpreti: Caterina Murino, Vincent Riotta, Ludovico Fremont, Andrea De Rosa, Nicola Pecci, Leonardo Santini, Giulia Petrungaro, Riccardo Antonaci, Stefania Casini, Mimmo Calopresti
Distribuzione: Toed Film
Durata: 95′
Origine: Italia, Austria 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.5
Sending
Il voto dei lettori
3.8 (5 voti)
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