Grandi bugie tra amici, di Guillaume Canet

Canet torna a raccontare i personaggi del suo maggior successo di pubblico ma senza una reale necessità se non quella di puntare superficialmente il dito contro le debolezze del presente.

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“Siamo stati amici per vent’anni ma non significa che dobbiamo esserlo per il resto dei nostri giorni”.
Per una volta si può essere d’accordo con lo sgradevole personaggio interpretato da François Cluzet, che pone l’accento sulla reale necessità di questo ritorno di Guillaume Canet al mondo e ai personaggi del suo maggior successo di critica e pubblico.

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Nel 2010 Les petits mouchoirs, le “bugie bianche” di un gruppo di parigini impegnati a trascorrere come ogni anno le vacanze estive nella villa di Cap Ferret del più benestante fra loro, mentre l’istrionico Ludo si spegneva in un letto d’ospedale dopo l’ennesima e fatale notte brava, erano state una sorta di “Grande Freddo” bobo. Dilatatissimo, con i suoi 148 minuti, tentava di restituire il più possibile un’idea di cinema-vita, in cui entrare e uscire continuamente dalla finzione narrativa per aprirsi alle risate rubate sul set, ai reali momenti di complicità tra gli interpreti, tutti ben selezionati tra una generazione di grandi promesse, confermate o tradite – Marion Cotillard e Benoît Magimel – e buoni protagonisti e caratteristi del cinema francese più commerciale, da Gilles Lellouche a Valérie Bonneton.

Intendiamoci, anche Les petits mouchoirs era un film debordante e pieno di difetti, tra storyline poco credibili (l’improvviso innamoramento di Magimel per l’amico di una vita Cluzet) ed eccessi sentimentali, ma in qualche modo tutto si teneva, proprio grazie all’energia del cast e al fil rouge del personaggio di Jean Dujardin, custode di una spensieratezza brutalmente recisa non appena varcata la soglia dell’età adulta, e cartina al tornasole per difetti e debolezze di ogni membro del gruppo.

Nove anni dopo, cosa sono diventati i personaggi di Canet? Nel vischioso clima di rimpianto in cui siamo immersi costantemente, nostro malgrado, l’operazione nostalgia si fa quasi insostenibile, un raddoppio fatale.

Il pretesto per ritrovarsi, nel malinconico scenario mare d’inverno, è il 60° compleanno di Max, con cui il gruppo ha interrotto i rapporti tre anni prima, in seguito a una grossa lite per motivi imprecisati, e che sta vivendo un tracollo economico. Le vite degli altri non sono andate meglio: tra figli non desiderati o ai quali si era del tutto impreparati, sessualità liquide e irrequiete, nessuno appare felice, mentre i figli ormai adolescenti osservano sottecchi le macerie emotive dei genitori…

Smarrita la costante generazionale, lo sceneggiatore e regista sembra quasi divertirsi a osservare il declino fisico e morale dei suoi stessi protagonisti, senza più alcuna traccia della partecipazione affettiva del primo film. Più che un inno all’amicizia, il Nous finirons ensemble del titolo suona come un monito irrevocabile e thunberghiano, sguardo desolato sul presente, tanto stereotipato quando punta il dito contro i vizi dell’epoca – le app di appuntamenti, i ragazzini chini sullo smartphone… – quanto poco convincente, forzato, quando prova a darsi slanci di entusiasmo, a credere che il gruppo possa realmente salvarci dalla solitudine delle nostre vite.

Il buen retiro della villa diventa allora reclusione, un po’ come quella messa al centro da Robert Guédiguian del suo film del 2017, anticipatore di uno smarrimento nel raccontare l’oggi, che l’autore marsigliese ha poi confermato nell’ultimo Gloria mundi, passato alla 76a Mostra del cinema di Venezia, e che pare essersi allargato a macchia d’olio.

In tal senso, l’unico dato interessante, seppur allarmante, del film di Canet, è la denuncia dell’inversione di rotta di una cinematografia, come quella francese, che anche quando ha affrontato smarrimenti esistenziali, drammi privati, ceti borghesi, vi ha sempre introiettato le tensioni del presente, di un fuori campo invisibile ma comunque pressante ai margini dell’inquadratura.

Oggi, invece, anche autori solitamente engagé finiscono per macchiarsi delle colpe imputate già da diversi anni a certo cinema italiano: quelle di trincerarsi in appartamenti borghesi, con trame ammansite ed edulcorate, neanche lontanamente in grado di decifrare quello che accade nel mondo reale.
Per un Brizé che ci parla a cuore aperto dei suoi personaggi in guerra, abbiamo un Canet che per suscitare una minima reazione emotiva ha bisogno di snocciolare tutto il repertorio del rock inglese e americano dagli anni ’70 in poi. Non sembrano nemmeno appartenere allo stesso spazio/tempo…

 

Titolo originale: Nous finirons ensemble
Regia: Guillaume Canet
Interpreti: François Cluzet, Marion Cotillard, Benoît Magimel, Gilles Lellouche
Distribuzione: BIM
Durata: 135′
Origine: Francia, 2019

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.5 (4 voti)
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