Greyhound – Il nemico invisibile, di Aaron Schneider

Dal romanzo The Good Shepherd di Forester, un solido war-movie dietro il quale si nascondono le forme dell’horror. Forse poco equilibrato nella scrittura ma capace di filmare l’azione con immediatezza

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Il mare, le nuvole. In mezzo il nulla. Proprio sull’assenza del bersaglio, sull’invisibilità del nemico si muove Greyhound, un solido film bellico in grado di mantenere alta la tensione anche quando l’azione è assente. Tratto dal romanzo The Good Shepherd di Cecil S. Forester pubblicato nel 1955, Greyhound vede protagonista il capitano Ernest Krause che all’inizio della Seconda guerra mondiale, a bordo del cacciatorpediniere USS Keeling – conosciuto via radio come “Greyhound” – guida una flotta di 37 navi alleate nell’Atlantico del Nord dove deve fronteggiare i temibili U-Boot tedeschi.

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Ha le forme del war-movie ma in realtà è un horror. Greyhound è un film di spettri e di morte. Il mare è una trappola, il luogo da cui è impossibile uscire. Per il capitano Krause ci sono solo i ricordi del passato, dove l’apparizione di Elisabeth Shue rimanda sensorialmente a una vita precedente, oppure a un desiderio mai vissuto totalmente. Lo sguardo di Aaron Schneider, al secondo lungometraggio dopo The Funeral Party del 2009, altra storia di isolamento in cui Robert Duvall che non aveva più contatti con nessuno decide di organizzare il proprio funerale mentre è ancora vivo, guarda certamente l’immediatezza dei documentari del periodo bellico ma soprattutto la grande stagione degli horror degli anni ’70. Filma con esemplare immediatezza l’assedio in mezzo al mare. Mostra gli U-Boot come dei mostri assassini invisibili. Ma sa anche coinvolgere con quelle ‘provvisorie liberazioni’ di scampato pericolo quando la flotta riesce ad avvistarne e a farne fuori uno con tutto l’equipaggio che esulta. Ma l’horror è presente anche in quelle minacce di morte via radio. C’è lo sguardo di Tom Hanks davanti al quale il nemico è soprattutto un’inquietante visione nel quale prendono soggettivamente forma anche i suoi demoni. Appare una reincarnazione tra il capitano Miller di Salvate il soldato Ryan e il capitano Phillips del film di Paul Greengrass del 2013. Nei suoi occhi c’è la paura, il presentimento e l’istinto di salvezza. Forse è uno dei personaggi più belli interpretati ultimamente dall’attore. Al tempo stesso la sua figura è così imponente che mette in ombra gli altri, anche il bravo Stephen Graham. Forse è proprio nella scrittura dello stesso Hanks – alla sua terza sceneggiatura dopo quelle per i film che ha diretto come regista (Music Graffiti e L’amore all’improvviso – Larry Crowne) – che non c’è equilibrio tra i personaggi; la figura del cuoco Cleveland (interpretato da Rob Morgan), per esempio, era potenzialmente fortissima, ma è poco più che abbozzata. Greyhound però è anche cinema per lupi di mare. Guarda, sì, ancora Greengrass, Andrew Davis e John Ford. Fa entrare nell’incubo anche attraverso i rumori. Dell’acqua delle esplosioni, dei messaggi via radio. Un bell’action mentale, sensoriale, che sarebbe dovuto uscire in sala e che poi è approdato su Apple Tv+ a causa del Covid, un riuscito confronto con i generi senza nessuna estremizzazione e compiaciuta citazione.

 

Titolo originale: Greyhound
Regia: Aaron Schneider
Interpreti: Tom Hanks, Elisabeth Shue, Stephen Graham, Matt Helm, Craig Tate, Rob Morgan, Travis Quentin
Distribuzione: Apple TV+
Durata: 91′
Origine: USA, Canada, Cina, 2020

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.5 (6 voti)
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