I limoni d’inverno. Incontro con la regista e il cast al Festival del Cinema Europeo

Abbiamo incontrato la regista Caterina Carone, l’attrice protagonista Teresa Saponangelo e lo sceneggiatore Alessio Galbiati al 24° Festival del Cinema Europeo di Lecce.

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Dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma dello scorso mese, I limoni d’inverno di Caterina Carone rientra tra gli Eventi Speciali della 24ª edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, prima dell’uscita nelle sale del prossimo 30 novembre. Ne abbiamo parlato con la regista, l’attrice protagonista Teresa Saponangelo e lo sceneggiatore Alessio Galbiati.

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Questa è la tua opera seconda, prima presentata alla Festa di Roma, ora qui a Lecce e a fine mese uscirà in sala. Il film racconta la storia di un incontro tra due solitudini diverse, un uomo e una donna. Da dove sei partita per raccontare questa storia?

Caterina Carone: Da alcuni anni avevo voglia di lavorare nuovamente con Christian De Sica, c’è voluto diverso tempo per trovare il film giusto perché non volevo fare una commedia. Sognavo di fare un film drammatico con Christian, l’esperienza di Fräulein. Una fiaba d’inverno, nel quale avevo già lavorato con lui, mi ha dato questa possibilità. Ci siamo innamorati immediatamente di questo soggetto scritto da Mario Luridiana e Remo Tebaldi. Noi insieme a loro avevamo voglia di raccontare un incontro che non portasse per forza a una storia d’amore, perché nella vita è proprio così, alcune volte due persone si incontrano e stabiliscono un legame che va al di là del rapporto amoroso. La sceneggiatura scritta in cinque persone ha la qualità di avere tante voci così da non apparire monocorde e monotono come spesso risultano molti film italiani e internazionali. Avevo il sogno di girare un film “drammatico” con questi presupposti, quando Teresa è entrata nel progetto è diventato tutto possibile.

I protagonisti sono due persone che si trovano in un momento molto delicato della propria vita, devono fare un passo importante. Proprio in quel momento si incontrano nel modo più spontaneo possibile.

Teresa Saponangelo: Sì è vero, è un momento di passaggio molto delicato per questi due personaggi. Molte donne si nascondono dietro ai mariti, capita spesso di dover rinunciare alla propria carriera per “supportare” il marito, ancora più di frequente capita nell’ambito artistico. Eleonora, il personaggio che interpreto, ha la fortuna di incontrare Pietro (De Sica), un uomo che la aiuta molto perché lui ha uno sguardo sul femminile interessante, diverso da quello a cui era abituata e per questo si diverte molto. Nella vita c’è grande bisogno di incontrare persone e colleghi che ti aiutano a crescere, sono questi incontri ad essere la vera ricchezza di questo mestiere. In ambito artistico sono proprio gli incontri che fai sul set teatrale o cinematografico che ti porti dentro per tutta la vita: la fortuna dell’incontro, secondo me il film è tutto qui.

Lei è uno dei cinque sceneggiatori che ha scritto il film. Ci può raccontare come si è sviluppato questo lavoro di gruppo?

Alessio Galbiati: Una volta era la normalità fare questo lavoro in tanti. Nel libro di memorie di Suso Cecchi D’Amico si parlava spesso di queste grandi riunioni, infinite divagazioni, tante voci che a loro modo arricchivano il film. Questa è la prima volta in cui mi trovo a lavorare in questo modo ma è stato davvero molto interessante. Credo che questa vitalità di persone e di voci in questo film si noti e si percepisca a pieno. Per noi non è mai stato solo un semplice prodotto ma qualcosa di più. Chiaramente a noi tutti piacerebbe sapere cosa c’è nella testa dello spettatore che guarda il film, cosa ne pensa realmente, che scene lo fanno emozionare e quali no e soprattutto per quale motivo. Purtroppo è impossibile saperlo.

Nel film sono presenti argomenti molto seri, come il lutto e la malattia, ma è un film con speranza che non diventa mai ricattatorio e morboso, resta equilibrato.

Caterina Carone: Tutto noi abbiamo sentito una grande responsabilità e abbiamo cercato di trattare con tatto e considerazione la tematica dell’Alzheimer. Io personalmente ho trascorso del tempo in un ospedale con persone che soffrono di questa malattia per conoscerla in prima persona. Questo film doveva parlare anche a quelle famiglie che soffrono tuttora per questo male e volevo restituire dignità. Non ho mai voluto estorcere sentimenti allo spettatore, ho cercato di essere il più onesta possibile, senza celare il dolore ma mostrandolo in maniera genuina, non artefatta.

Alessio Galbiati: Durante la conferenza alla Festa di Roma, Christian ha detto qualcosa che condivido in prima persona; questo è un film che parla di bontà d’animo. Al giorno d’oggi ogni film che incontriamo sulle piattaforme e spesso anche in TV sono pieni di morte e cattiverie. Non si tratta di realtà ma di una messa in scena disastrosa in cui questi fatti sono ripetuti incessantemente. Alche il telegiornale ci bombarda in questo senso, racconta la realtà, certo, ma in che modo la racconta?

Teresa Saponangelo: Questo film ha un tempo diverso, non è accelerato, lascia il tempo della riflessione, il tempo dello sguardo, un modo di fare cinema a cui non siamo più abituati. Questo tempo dilatato con grandi pause serve a lasciare allo spettatore la possibilità di assaporare le immagini e concentrarsi su ogni minimo dettaglio. Questo film ha grandi movimenti interni, se guardato in maniera superficiale sembrano solo minimi, ma se si riesce ad entrare in profondità ci si rende conto che c’è un mondo di sensazioni e sentimenti.

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