"Il Club degli Imperatori", di Michael Hoffman

Non è “L'attimo fuggente”: una storia di deformazione, più che di formazione. Abbandonati i territori comuni, i due film non si incontrano più. A livello visivo, una costante luce omogenea richiama alla mente la necessità, l'obbligo di uniformarsi.

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Per sgombrare subito il campo da equivoci: Il Club degli Imperatori, nonostante l'iconografia pubblicitaria che ne ha veicolato l'uscita, non è L'attimo fuggente. Sono due film paralleli che, abbandonati i territori comuni di partenza – l'esclusivo e rigido college americano, l'insegnante entusiasta della propria missione formativa -, non si incontrano più.
Il professor Keating di Robin Williams rimescolava il sangue e gli altri umori dei suoi giovani studenti descrivendo loro innumerevoli mondi, alternativi agli angusti spazi in cui il college li costringeva: il professor Hundert interpretato da Kevin Kline, nel suo rapporto con i ragazzi, ed in particolare nel conflitto con un giovane studente irrispettoso, è invece l'apostolo della Disciplina e della Norma. Il fuoco di Walt Whitman, che illuminava il grigiore delle aule della Welton Academy, regalando agli immaturi protagonisti de L'attimo fuggente l'illusione che la loro giovinezza non sarebbe morta in quel luogo, viene sostituito dall'austera severità delle massime dei classici latini e greci. Il processo educativo di Keating/Williams avanzava per contagio, per contatto epidermico, per trasmissione di bacilli del sapere clonati con quelli del piacere, mentre il percorso istruttivo di Hundert/Kline, è didascalico, obbligatorio, coercitivo. A livello visivo, le alternanze di set luminosi (le aule) e ambientazioni oscure (le riunioni della Dead Poets Society) metaforizzavano, nel film di Weir, le onde dei destini dei ragazzi disorientati dalla potenza evocativa delle parole di Whitman; qui, una luce omogenea – perfino tra interni ed esterni – richiama piuttosto alla mente una linea di uniformità mentale dalla quale è proibito discostarsi.
Film di sceneggiatura, questo di Hoffman dovrebbe appartenere al filone delle storie di formazione; scopriamo invece che si tratta di un racconto di deformazione: il professore, protagonista positivo del film, è convinto che il suo ruolo sia quello di plasmare gli studenti; ed il fatto che il libero pensiero debba necessariamente piegarsi al potere, oltre ad essere il filo conduttore di tutte le vicende, viene addirittura sottolineato da un sermone pomposamente elogiativo dell'imperialismo romano che, verso la fine del film, Kline declama in un momento di pathos. Chi fosse il vero destinatario del pistolotto morale, non si sa.

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Titolo originale: The Emperor's club
Regia: Michael Hoffman
Sceneggiatura: Neil Tolkin
Fotografia: Lajos Koltai
Montaggio: Harvey Rosenstock
Musica: James Newton Howard
Scenografia: Patrizia Von Brandenstein
Costumi: Cynthia Flynt
Interpreti: Kevin Kline (William Hundert), Emile Hirsch (Sedgewick Bell), Embeth Davidz (Elizabeth), Rob Morrow (James Ellerby), Edward Herrmann (Woodbridge), Harris Yulin (Senatore Bell), Paul Dano (Martyn Blythe), Rishi Mehta (Deepak Mehta), Jesse Eisenberg (Louis Masoudi)
Produzione: Andrew Karsch, Marc Abraham
Distribuzione: Medusa
Durata: 110'
Origine: USA, 2002

 

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