La solitudine è questa, di Andrea Adriatico

Doc davvero interessante e carico di contenuti intellettualistici, mai però fini a se stessi, sempre proiettati a rivelare la complessità dello scrittore Pier Vittorio Tondelli. Freestyle.

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La solitudine è questa, è un’opera “road doc movie” (da Correggio a Berlino, passando per Bologna, Milano, Rimini, Roma, Firenze, Orvieto e L’Aquila) per raccontare lo scrittore Pier Vittorio Tondelli, un invito alla scoperta di storie e scritture capaci di superare gli anni ’80 e arrivare a noi con l’entusiasmo del racconto da parte di sette scrittori nati proprio in quel periodo. Andrea Adriatico, al sesto film e al suo terzo documentario (l’ultimo girato è Gli anni amari, il biopic su Mario Mieli nel 2019), realizza un lavoro davvero interessante e carico di contenuti intellettualistici, mai però fini a se stessi, ma sempre proiettati alla conoscenza di un autore probabilmente non sufficientemente amato da una parte della critica e opinione pubblica, pur se considerato, soprattutto all’estero, tra le firme più innovative e graffianti del dopo guerra nostrano, morto a soli 36 anni di AIDS.

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La sua scrittura prende forma grazie alla voce e ai corpi di due interviste ad attori, Lorenzo Balducci e Tobia De Angelis, che recitano e declamano le pagine più memorabili dei romanzi, all’interno di una composizione di immagini, evocanti la sperimentazione visiva degli anni 70/80, gli stessi anni delle opere letterare: “Altri libertini”, “Pao Pao”, Rimini”, “Dinner Party” (l’unica opera teatrale), “Camere Separate” (ultimo doloro testo di Tondelli del 1989, sulla malattia e la morte). Oltre i due interpreti, ci sono i sette giovani scrittori, Viola Di Grado, Alcide Pierantozzi, Alessio Forgione, Paolo Di Paolo, Angela Bubba, Claudia Durastanti, Jonathan Bazzi, che si addentrano nel pensiero e la genialità di Tondelli con estrema competenza e fascinazione. La “lost generation” postmoderna (in tal senso, è interessante e centrata anche la musica di Massimo Zamboni) raccontata da uno dei più importanti e seminali scrittori del Novecento, spinge i suoi confini nella solitudine dell’uomo Pier Vittorio, in quella espressione del titolo che è certamente contraria alla chiusura, alla gabbia, più prossima alla sospensione, alla libertà, che alla cattività.

Tondelli, senza mai dire io, parla di un noi, pedine del gioco sociale. Il documentario riesce davvero a stimolare questo nervo. Tondelli da una voce e parla da dentro, è l’ideale ventriloquo di più generazioni. Non parla soltanto da dentro, ma anche da sotto, da una prospettiva di marginalità, mimando e restituendo il ritmo pulsionale, trasandato, il parlare a volte confuso, impacciato, ma anche la vera, tragica, ammutolita, comica, ferita di persone fuori, perse nel disagio sociale e personale. È il periodo, in particolar modo bolognese, di Claudio Piersanti, Andrea Pazienza, Gianni Celati, tutti fondamentali per la crescita di Tondelli, sempre sotto l’egida di “On the Road” di Jack Kerouac. Tondelli amava il suo tempo e sapeva restituire sia la colonna sonora, sia, semplicemente, i rumori di fondo di un’epoca. Le sue pagine, sciorinate dal doc, svelano un uomo ancora inquieto, che conosce le strade in cui percorrersi, ma non le stanze in cui riposarsi.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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