Non sono quello che sono – The Tragedy of Othello di W. Shakespeare, di Edoardo Leo

Un’opera coraggiosa nel rispettare la parola di Shakespeare. Ma i suoi protagonisti sembrano rimanere prigionieri della propria maschera. A Locarno 76. Piazza Grande

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Arrivato al settimo lungometraggio, Edoardo Leo abbandona il porto sicuro della commedia e si sposta verso altri lidi ben più ambiziosi e scivolosi. Non sono quello che sono sancisce l’ingresso del cinema di Leo all’interno del genere drammatico. Il regista di Noi e la Giulia parte subito in quarta, trasponendo per il grande schermo niente meno che Otello, una delle più celebri tragedie di William Shakespeare. Tra l’altro, parliamo di un’opera che ha vissuto nel corso della storia del cinema numerose trasposizioni, da Orson Welles (1951) a Oliver Parker (1995) passando da Sir Laurence Olivier (1965) e Franco Zeffirelli (1986). La figura di Otello ha attraversato più di quattro secoli di storia vestendo, di trasposizione in trasposizione, i panni di una società in costante evoluzione(?) nel corso degli anni. Da questa premessa, nasce la grande sfida di Leo: portare la vicenda dell’Otello shakespeariano ai nostri giorni senza, però, toccare in alcun modo il testo di partenza.

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“Iago, Otello, Desdemona sono purtroppo ancora tra noi” sembra dirci Leo, che, partendo da un fatto di cronaca, ambienta la vicenda nei primi anni Duemila, sposta il contesto all’interno della criminalità organizzata romana e adotta il dialetto romano e napoletano per restituirci la “parola” di Shakespeare. Otello, chiamato dai suoi sottoposti il n***o, è a capo di una rete di stampo mafioso che gestisce il traffico di stupefacenti sul litorale romano. Il suo braccio destro Iago, pieno di odio e invidia nei suoi confronti, architetta un subdolo piano per piantare in Otello il seme della gelosia per farlo dubitare della fedeltà coniugale della giovane moglie Desdemona. La tragedia sta per incombere.

Da una parte Leo si dimostra in grado di cogliere la spaventosa contemporaneità di un capolavoro universale e senza tempo che mette alla berlina tutte contarddizioni e le dinamiche perverse che governano ancora nella società di oggi. Questa contemporaneità si riflette soprattutto nel maschilismo tossico che Desdemona subisce da suo marito Otello, con cui Leo non può e non vuole più empatizzare. Qui troviamo lo scarto più interessante di Non sono quello che sono rispetto alle trasposizioni del passato: togliere tutta l’empatia che le parole di Shakespeare ci portano a provare nei confronti di un uomo che si è appena macchiato di femminicidio, un tema troppo importante per essere accantonato. L’operazione, presa da questo punto di vista, è decisamente interessante e va dato atto al regista di aver avuto il coraggio necessario nel non scendere a patti con il testo di partenza, rispettando la parola di Shakespeare ma, allo stesso tempo, rivendicando una lettura diversa che non contempla più un’assoluzione di fronte ad un femminicida.

Detto questo, c’è qualcos’altro che non funziona nel film di Leo. La vicenda narrata attraverso un registro che si avvicina a quello del gangster movie rimane un po’ troppo ancorata ai dettami del genere e non sembra poter “respirare” autonomamente e sufficientemente, mostrandoci queste persone in tutta la loro umanità. Qui sembra che i risultati ottenuti non coincidano con le alte ambizioni di Leo. I suoi protagonisti rimangono prigionieri del contesto in cui si muovono, della propria maschera, mostrandosi in alcuni passaggi del film, troppo stereotipati, privi di una profondità necessaria. D’altronde la grande forza di Shakespeare è di fornirci una scansione del reale, quello che si racconta un mondo, osservabile da molteplici punti di vista che si rivela specchio della nostra interiorità.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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