Nuovo Olimpo, di Ferzan Özpetek

Tratto da una storia vera, è un pamphlet leggero sulla profondità subliminale dell’amore dove manca il racconto epocale per uno sguardo ripiegato su se stesso.

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Il primo di Novembre è la data simbolica attorno a cui ruota Nuovo Olimpo. Scandisce i tre atti della sceneggiatura scritta insieme al regista da Gianni Romoli, come già avvenuto per Le fate ignoranti e Allacciate le cinture, e ripercorre tre fasi della vita di un amore. L’inizio è ambientato nel 1978, il periodo in cui Enea e Pietro si conoscono frequentando lo stesso cinema, quello del titolo, gestito da Titti, interpretata da una irriconoscibile e molto brava Luisa Ranieri. La sala romana vanta una programmazione di primo ordine: Mamma Roma, Il giardino dei Finzi Contini e soprattutto il titolo che lascerà un ricordo indelebile nella mente dei due protagonisti, Nella città l’inferno di Renato Castellani. Ma il Nuovo Olimpo è anche la sede di un ritrovo omosessuale dove i bagni si trasformano in un’alcova per degli incontri fugaci. Enea sta per diventare un regista, Pietro studia per diventare medico, ed intanto la città è scossa dal fremito della protesta studentesca e dal discorso ideologico incandescente degli anni di piombo, le manifestazioni, i fumogeni, la militanza, gli scontri con la polizia. Özpetek sceglie di lasciare questa parte in fuoricampo seguendo l’impulso di Enea al disimpegno, sulle note di E se domani preferisce una dichiarazione politica sentimentale, le atmosfere romantiche, la luce delle candele. Sceglie di rappresentare la passione incontrollata e l’erotismo, che coinvolge anche Alice la migliore amica di Enea e sua occasionale amante. Ma gli eventi travolgono tutto e la storia scivola in avanti di 12 anni.

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Il 1 Novembre 1990, principio della seconda parte, quei momenti di intimità sono diventati un film diretto da Enea che Pietro vede al cinema insieme a sua moglie Giulia. Il mondo è cambiato, nei party alla musica di Mina (presente nella colonna sonora anche con il brano Povero amore tratto dall’ultimo album) si è sostituita quella della Bertè che canta E la luna bussò. Se il destino ha voluto che fossero esauditi i sogni di successo professionale di entrambi, lo stesso non si può dire per la sfera affettiva, i loro treni sembrano diretti verso destinazioni lontane . E dopo questa fase di maturità si arriva in coda nel 2015, in età senile, quando un incidente occorso sul set ad Enea porta le loro strade ad incrociarsi di nuovo.

La poetica del regista anche in questo film resta la stessa di sempre, una forte spinta emotiva ed una importante parte corale, anche se più attenuata rispetto a La Dea Fortuna, così come trova meno spazio la malattia, almeno quella fisica, per trasformarsi in impalpabile rimpianto e nostalgia, mentre in Rosso Istanbul riaffiorava con la violenza di un incendio. Questo close-up autobiografico lascia morire ai margini possibilità tematiche più ampie, evita di storicizzare la realtà per confinarla in un unico presente fatto di desiderio. Poi c’è il cinema, invaso dai ragazzi in fuga da un corteo, appuntamento occasionale, amplificatore fenomenico, e c’è un regista che rimane cieco perché i suoi occhi non sanno più riconoscere il volto della persona amata. E continua ad inseguirla sullo schermo tra un’immagine e l’altra prima che svaniscano di nuovo nell’oblio. Stavolta il cinema di Özpetek segue una linea di spontaneità più immediata, semplifica il congegno narrativo (in perfetto stile Netflix), lasciando cadere dei rami di contorno senza lo sviluppo che avrebbero meritato. Levigato dai traumi distinguibili diventa un pamphlet leggero sulla profondità subliminale dell’amore e manca il racconto epocale per uno sguardo ripiegato troppo su se stesso. Proprio come se il mondo non esistesse.

 

Regia: Ferzan Özpetek
Interpreri: Damiano Gavino, Andrea Di Luigi, Luisa Ranieri, Aurora Giovinazzo, Greta Scarano, Alvise Rigo, Giancarlo Commare
Distribuzione: Netflix
Durata: 110′
Origine: Italia, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2
Sending
Il voto dei lettori
3.1 (82 voti)
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    3 commenti

    • Mi associo alla bella e rigorosa critica di Antonio D’Onofrio. Il tema personalissimo dell’amore omosessuale di Ozpetek è qui in Nuovo Olimpo semplificato e banalizzato al massimo, sia per la facile utenza di bocca buona di Netflix, sia perché l’autore la esterna fin troppo iperrealisticamente a discapito della magia e della leggerezza poetica appiattendola a situazioni improbabili quanto scontate da fotoromanzo gay. Però il finale ha un’impennata stilistica e poetica che riscatta tutto il film, il dialogo di inevitabile addio dei due amanti nel vicolo di Trastevere, deliziosamente e oniricamente contrappuntato dalle sliding doors della mancata pizza in trattoria. Ciò che mi preme sottolineare è ancora una volta la sfumata presenza della serranda grigia sullo sfondo, perfetto richiamo a quella del vicolo in cui nella Finestra di Fronte Davide Veroli/Massimo Girotti esplica la verità degli avvenimenti passati. Scena che a sua volta è il calco raffinatissimo (e che spiega la scelta di Girotti protagonista) della enorme saracinesca chiusa nel dialogo d’addio fra gli amanti Girotti/Lucia Bosè nella stupenda opera prima di Antonioni, Cronaca di un Amore del 1950

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      Ho trovato questo film cupo, scarse le scene girate alla luce del sole, narrazione tutt’altro che fluida e scorrevole. Dov’è finito l’Özpetec dei suoi precedenti lavori che tanto ci ha fatto appassionare con racconti coinvolgenti, cast affermati e colonne sonore di tutto rispetto??