Phantom, di Lee Hae-young

Come una buona spy story opera nelle pieghe della Storia, ne scandaglia le fondamenta, fino a ritagliare per le sue eroine un sogno di libertà. Cede però fin troppo facilmente al caos. Dal FEFF

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Pochi generi come lo spy thriller transitano senza soluzione di continuità dalla micro-storia (cioè quella dei personaggi) ai grandi eventi del passato – ovvero la cornice storica “oggettiva” in cui agiscono i protagonisti. Gli intrecci, sempre più votati a sovrapporre le “verità” fittizie del racconto a quelle “reali” della Storia, permettono così di indagare le pieghe del passato, scandagliandone fino in fondo le fondamenta. Anche quando quel preciso momento – per motivi storici, politici o sociali – risulta impermeabile ad ogni tipo di variazione o cambiamento. Per poi arrivare a proporne un’immagine nuova, che non confluisca per forza di cose nel revisionismo. Ma che ritagli per il film uno spazio di libertà, in cui le azioni patriottiche delle spie – come nel caso, appunto, di questo Phantom – permettono di sognare un corso differente degli eventi. Soprattutto quando quegli stessi eventi hanno limitato (se non annullato) fin troppo a lungo la possibilità per un paese di riconoscersi in un’idea di sovranità.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

È da qui che si diramano tutte le (a volte complesse) ramificazioni (narrative, tematiche, idealistiche) di Phantom, votato sin dal principio a proporre un’idea “alternativa” di Storia, all’interno di una cornice storicamente immutabile. Ci troviamo infatti nella Corea del ’33, periodo in cui il paese sembra aver rinunciato ad ogni sogno di libertà nazionale. Gli imperialisti giapponesi dominano sull’isola da quasi vent’anni, e il loro controllo appare incontestabile. Nel giorno dell’insediamento del nuovo governatore, un gruppo di rivoluzionari cerca di sovvertire l’ordine costituito, fallendo miseramente, con il coup d’état che si frantuma ancor prima di essere messo in azione. Il comandante Kaito (Park Hae-soo) a questo punto, riuniti in una stanza di hotel i 5 sospettati del golpe, lascia loro una scelta: dovranno consegnare entro il tramonto la spia (nome in codice, “Phantom”) che sta minando dall’interno le azioni dell’Impero. Pena la morte. Una situazione che agli occhi della Storia ha un finale già scritto. Ma che in Phantom diventa occasione per spaziare tra le costrizioni delle verità storiche, e l’appagamento spettacolare della finzione.

Ciò che conta qui non è cambiare il corso degli eventi: la Corea rimarrà sotto il controllo giapponese fino al ’45 e nulla che il film racconti potrà cambiare la fattualità storica del passato. Eppure per le due spie/eroine di Phantom importa solamente il gesto, lo scontro armato con l’altro, attraverso cui prefigurare (e difendere) il sogno di libertà per la propria nazione. Tanto che il film, almeno finché si concentra sui caratteri elusivi del thriller spionistico, riesce a tessere una rete densa di relazioni, tradimenti, depistaggi, restituendo una notevole incisività alla narrazione, anche grazie al suo confinamento negli spazi costringenti dell’hotel. Il problema, semmai, sorge nella seconda metà di racconto, quando il film abbandona i tratti tensivi della spy story, per dirigersi nei territori ipercinetici dell’action. Dove il “caos” della nazione, si sovrappone all’orizzonte caotico dell’azione.

Sulla scia di opere come Special Delivery o The Villainess – che con Phantom condividono anche la declinazione dell’azione al femminile – il film di Lee Hae-young si fa progressivamente più convoluto e incerto, con la rete di intrecci e depistaggi che collassa nella baraonda audiovisiva in cui sono relegate le azioni/motivazioni patriottiche delle due eroine, sempre più smarrite nella confusione della messa in scena. Ma a differenza dei film citati, si mantiene a galla proprio grazie alla ri-connessione con l’istanza di partenza. Di cui l’immagine finale, con Park Cha-kyung (Lee Ha-nee) e Yuriko (Park So-dam) che imbracciano imperturbabili i mitragliatori d’assalto, si pone come sua sintesi e sublimazione ideale. “C’è ancora speranza per la Corea!” sembrano urlare fiere le due eroine mentre crivellano di colpi il nemico nipponico. Un’inquadratura forte proprio perché restituisce al mondo la visione di una realtà impossibile anche solo da immaginare. Ma che vive nelle menti di chi, come noi, è già a conoscenza del destino delle due protagoniste. E delle libertà che continuano, ostinatamente, ad inseguire.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array