RIFF 2020 – Ritratti privati e sogni collettivi

Il Rome Independent Film Festival in corso online offre una panoramica sul documentario italiano. Opere che toccano temi di attualità, urgenze climatiche, problemi individuali o collettivi

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Il Rome Independent Film Festival, in streaming su Mymovies dal 27 Novembre al 3 Dicembre, dedica un’ampia parte del programma al cinema documentario. Nella sezione nazionale vengono affrontati i temi più disparati, ma sempre con un occhio attento all’attualità ed al bisogno di rappresentare uno di fianco all’altro le esperienze raccolte in ambito cittadino, con altre più spirituali, insieme alla cura di proporre ritratti intimi e sogni collettivi. Lo spettro visivo dove indaga Makarìa di Giulia Attanasio affonda in Salento, nel cammino incompiuto di Vincenza Magnolo, un’artista folk scomparsa prematuramente. La trama è un filo musicale sottile tracciato attraverso il ricordo dei canti, che trovano un’eco fantasmatica con le immagini di un film rimasto in via di definizione. Il documentario è un omaggio alla memoria dai tratti a volte esuberanti, a volte fedeli alle malinconia, soprattutto quando incontrano le onde del mare. Emerge uno sguardo delicato, pilotato dalla commozione, mai imparziale, un ritratto dal forte potere evocativo di suoni e colori della terra e dell’amicizia.

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Under the Skin – In Conversation with Anish Kapoor di Martina Margaux Cozzi è una discesa nel mondo creativo dello scultore indiano, in occasione della mostra evento al Macro di Roma. L’assunto dialogante dell’intervista sulle intenzioni di ricerca artistica, cioè il tentativo di plasmare un’opera in osmosi con l’ambiente circostante, viene coordinata da un’estetica visiva delle immagini, tarate prevalentemente sul rosso. L’ausilio ottico facilita la comprensione dei concetti, lasciando spazio ad un campo di pensieri inediti, sempre e comunque in divenire. È in qualche modo legato al Macro anche il destino di un altro film del Riff, Viaggio attraverso la Città Possibile di Eugenio Corsetti & Emiliano Monaco, ma qui l’approdo al Museo arriva al termine di altre deviazioni. Punto di partenza è il MAAM di via Prenestina, luogo associato ad un’idea di cultura condivisa e vero e proprio nucleo abitativo ripensato sulle finalità sociali. La linea ideale tra gli estremi attraversa la città toccando punti di congiunzione intermedi, botteghe ed abitazioni rese avamposti di resistenza verso una città distratta dal suo gigantismo. Questa videocronaca a tappe passeggia tra i palazzi per suggerire una continuità e mettere in luce la vicinanza che corre dal centro alla periferia. Il viaggio vuole dimostrare come le distanze fisiche vengano azzerate nella dimensione umana, primo, se non unico, raccordo possibile.

Trovare una comunità è in fondo lo stesso obiettivo raccontato in Cinematti una storia folle di Giacomo R. Bartocci, resoconto dopo 10 anni di vita di un gruppo Facebook arrivato a superare gli 80000 iscritti. L’approccio audiovisivo è multimediale e comprende interviste, messaggi di augurio e qualche immagine di repertorio, il tutto catturato con un qualsiasi dispositivo. Oltre ad affrontare il decorso storico della community, passata dopo il successo abbastanza inaspettato ad avere molti amministratori, si mette in luce la trasformazione ininterrotta nei contenuti, ridefiniti spesso sulle idee degli utenti, fino al passo più importante, il primo raduno in presenza, uno modo di dare forma a legami oltre l’universo virtuale. Anche in A riveder le stelle di Emanuele Caruso la soluzione adottata è quella di mettersi in cammino, ma al paesaggio urbano si sostituisce la sontuosità della Val Grande. Quasi un esperimento, per ritrovare qualcosa di rimosso, venduto o sacrificato, lasciandosi per una settimana alle spalle ogni tipo di collegamento esterno, a partire dal cellulare. Queste cinque persone, estranee l’una all’altra, abbandonate momentaneamente la loro solite vite, stordite dalla bellezza del territorio, riflettono sul disastro climatico e le responsabilità personali o collettive, e la difficoltà di sposare nettamente un punto di vista ecologico. Alle interviste dei partecipanti, si aggiunge una voce fuori campo, guida e coscienza nascosta dei nostri comportamenti abituali.

Che fine hanno fatto i sogni? di Patrizia Fregonese de Filippo per certi versi utilizza lo stesso schema strutturale. L’indagine sui sogni viene su un doppio fronte, da un lato una prevalenza di studenti, in procinto di indirizzare il proprio futuro, e dall’altro persone che quel sogno di gioventù hanno potuto vederlo realizzato, per tenacia, talento ed un pizzico di fortuna, vedi Liliana Cavani o Massimiliano Fuksas, due dei personaggi intervistati per illustrare la loro personale esperienza. Sullo sfondo il medesimo doppio registro, uno audace ed ingenuo, con un accostamento storico alla turbolenza del ’68, ed un altro con la realtà dei Cosplayers e i travestimenti in supereroi di fumetti, e non solo. Nel filmare il divario tra le generazioni la regista tenta di formulare delle domande cruciali: ma siamo ancora in grado di sognare? E soprattutto, ne abbiamo ancora bisogno?

Le lotte studentesche, cresciute fino a diventare lotte politiche e sociali negli anni 70, sono il background del film di Maurizio Orlandi, Il Direttore. L’atmosfera del periodo viene restituita adoperando immagini di piazza, sfilate, cortei e bandiere rosse, in un momento storico dove la lotta di classe toccava il suo apice cruento. L’utilizzo di una voce narrante invece serve ad introdurre una sorta di diario familiare, centrato sulla figura del padre del regista, Albo Orlandi, prima impiegato, poi direttore del personale della Montedison. Questo aspetto intimo, il bisogno di affrontare qualcosa di non risolto nel rapporto padre/figlio, viene controbilanciato con il ricordo di alcuni degli operai, per restituire il respiro di un’epoca e l’assedio a cui erano sottoposte tutte le istituzioni.

La mia storia si perde e si confonde di Daniele Gaglianone & Imogen Kusch è un lavoro girato come saggio di recitazione dagli allievi della Scuola Volontè, ispirati dal racconto di Borges “La forma della spada”. Il reale e l’immaginario si confondono senza soluzione di continuità, ad ogni appiglio di contatto segue una sottrazione di vero, e la menzogna rientra camuffata di potere. L’uso dell’intervista viene intervallato con dei racconti spontanei, poi trasfigurati all’interno della narrazione teatrale, e lascia alle performance attoriali lo scheletro della struttura comunicativa, voce e movimenti del corpo,  del quale le immagini appaiono un semplice supporto etereo.

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