ShorTS International Film Festival 2023 – Intervista a Stefano Savona

Il regista è il vincitore del Premio del Presente 2023 del festival triestino al via oggi. Qui ci parla in esclusiva del valore etico delle immagini del suo Le mura di Bergamo rivisto oggi

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Le Mura di Bergamo è un racconto intimo e collettivo allo stesso tempo, l’affresco di una dimensione sospesa o esplosa, come la definisce Stefano Savona, regista di questo documentario. Uscito nel 2023, il film è frutto di un anno di riprese a partire da marzo 2020, in piena crisi pandemica. Il Covid-19 è un nemico assente solo all’apparenza, che però riesce a piegare e isolare i protagonisti di questo film, mostrando dei momenti che oggi sembrano già parecchio distanti. In occasione dello ShorTS International Film Festival, al via oggi a Trieste,  il cineasta palermitano riceve il Premio Cinema del Presente 2023 (il programma completo del festival è qui). Ecco la nostra intervista esclusiva a Stefano Savona.

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Per iniziare vorrei parlare della memoria, e del ruolo che gioca in Le Mura di Bergamo. Qui infatti il materiale d’archivio mostra questo aspetto in relazione anche a uno scontro tra soggettività e collettività. Qual è il tuo rapporto con la memoria pensando a Le Mura di Bergamo, da autore?

Nel film sicuramente c’è questa memoria inconscia che all’inizio è memoria del corpo, vedendo questi pazienti in stato di semi-incoscienza, in terapia intensiva. All’inizio  durante le interviste preparatorie ho fatto molto caso a come i corpi agissero, magari tra una carezza e un gesto di solidarietà, al senso di oppressione. Quindi ho voluto raccontare come ogni corpo reagisse alla memoria inconscia, appunto. Per quanto riguarda i materiali d’archivio ho cercato di renderli universali, ma anche di plasmare una memoria più articolata magari familiare. Che magari riportasse all’infanzia dei nostri protagonisti. Nella parte finale invece ho guardato alla collettività, con il confronto e con uno sguardo alla città. Anche ne La Strada dei Samouni ho cercato di rendere la memoria più evidente, ricostruendo alcune parti con la tecnica dell’animazione.

Per citare un personaggio del film: “questa (pandemia) è come una guerra, ma non si vedono le macerie”. Com’è stato questo tuo lavoro di ripresa in prima linea, all’esplodere della pandemia?

Come dice il medico che parla in quel momento, la linea di conflitto era dentro le mura domestiche. Era qualcosa di invisibile per sua natura. La solitudine di quelle situazioni in casa, spesso senza alcun aiuto, era terribile. Ci abbiamo messo un po’ a capire come rendere quella dimensione, la più drammatica del film. Quindi abbiamo deciso di raccontare chi non era in casa per dare una mano come i volontari o i medici. Loro ci hanno portato all’ingresso delle case e lentamente siamo riusciti a entrare nelle vite dei nostri protagonisti. Alla fine abbiamo capito che era una guerra di trincea, in cui ognuno è solo nella sua trincea.

Per la realizzazione de Le Mura di Bergamo hai lavorato con alcuni tuoi ex studenti del Centro Sperimentale di Palermo. Come hai organizzato il lavoro al momento delle riprese? Hai creato una troupe unica o più unità di ripresa?

Si, sono stato loro insegnante fino al 2018, anno in cui si sono diplomati. Ci eravamo ripromessi da allora di collaborare per un progetto e quando si è presentata la possibilità di girare questo film l’abbiamo fatto, proprio perché abbiamo capito come fosse difficile raccontare una realtà così frammentata ed esplosa senza diversificare gli sguardi e i punti di vista. Se avessi realizzato questo film da solo, come faccio di solito, non avrei saputo nemmeno da dove iniziare. Invece essendo in otto e molto coesi ci è sembrato l’approccio ideale. Il processo di ripresa consisteva nel girare ognuno il suo materiale, per poi rivedere la sera e magari fare un pre-montato o una selezione. Anche per capire che direzione prendeva il documentario. Il mio ruolo era quello di tenere insieme le situazioni e i protagonisti giorno per giorno; di supervisione.

Qual è il tuo punto di vista nel dibattito etico sull’immagine, e del cosa mostrare e cosa no? Credi che sia importante avere dei principi da non superare, anche nel rispetto delle persone che racconti e che hai davanti?

Si, credo che sia molto importante pensare alle immagini che scelgo di usare soprattutto nel rispetto delle persone e delle storie. Maggiormente quando, come nel caso de Le Mura di Bergamo, la situazione che hai di fronte è molto delicata. Infatti una delle cose che abbiamo fatto con tutti i protagonisti del film è stata il non far firmare una liberatoria a priori, ma solo dopo aver visto il montaggio finale, per essere sicuri che il film non offendesse nessuno dei presenti. Ed essere sicuri che tutti si sentissero rappresentati in maniera adeguata. Quando tutti hanno visto il film e nessuno si è tirato indietro, abbiamo tirato un sospiro di sollievo nel sapere che abbiamo agito in modo giusto ed etico.

In conclusione, quali sono le tue sensazioni riguardando il film oggi, a distanza di tre anni dalla pandemia? Cosa provi riguardandolo?

Sicuramente ho immaginato di fare questo documentario per creare qualcosa che durasse nel tempo. Nel vivere quelle situazioni assurde, tra mascherine e distanziamenti, mi sembrava che dovessero essere raccontate. Adesso riguardandolo sembra passato moltissimo tempo. E penso che col passare degli anni l’effetto di straniamento nei riguardi di quel periodo non potrà che aumentare. Mi auguro comunque che sia un film che rimanga nella memoria, come cerco di fare con ogni mio prodotto.

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