Small Things Like These, di Tim Mielants

Tratto dal romanzo omonimo di Claire Keegan, fa vedere a intermittenza la sua indignazione. Trova però il passo giusto nel finale e resta impressa la prova di Cillian Murphy. BERLINALE74. Concorso.

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Il volto nell’ombra di Cillian Murphy. Il suo drammatico silenzio mentre è inquadrato di spalle. Come Robert Oppenheimer nel film di Christopher Nolan si porta addosso il peso della Storia e sembra un fantasma, quasi un personaggio esterno che anche in questo caso racconta, anzi fa vedere la vicenda attraverso i suoi occhi. L’attore irlandese interpreta Bill Furlong che lavora come commerciante di carbone in una piccola città nella contea di Wexford, in Irlanda, per mantenere la moglie e le cinque figlie. Una mattina, mentre va al convento locale per fare una consegna, fa una drammatica scoperta che lo costringe a confrontarsi con il suo passato. In una cittadina controllata dalla Chiesa deve così scegliere cosa fare. Restare in silenzio o agire?

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Ambientato nel 1985 nei giorni che precedono il Natale e tratto dal romanzo breve omonimo della scrittrice irlandese Claire Keegan del 2021 (tradotto in Italia col titolo Piccole cose da nulla edito da Einaudi), Small Things Like These riporta a galla il trauma collettivo delle Magdalene House, residenze prigioni di proprietà della Chiesa Cattolica attive dal 1820 al 1996 dove venivano recluse a vita donne nubili e incinte e già portato sullo schermo da Peter Mullan proprio in Magdalene del 2002. Tim Mielants, al suo terzo lungometraggio (anche regista di diverse serie tv come gli episodi diretti in Peaky Blinders, The Terror e Legion), mostra ancora il contrasto dell’individuo con la realtà che lo circonda come aveva fatto con il poliziotto ausiliario durante l’occupazione nazista di Anversa nel precedente Wil. Il suo cinema cerca di restare così aderente alla vicenda realmente accaduta e al romanzo e ciò gli impedisce di avere quello scatto emotivo improvviso con cui dare una scossa alla storia. Ma forse è anche una scelta. Il buio persistente del paesino, l’oscurità degli interni, probabilmente fa vedere come sono fatte le tenebre. Si perde in qualche dialogo eccessivo tra Bill e la moglie, ma la prova di Murphy resta impressa proprio per la capacità dell’attore irlandese di mostrare come il suo personaggio sia completamente avvolto nei suoi pensieri e assente dalla realtà che lo circonda, a cominciare dalle scene a tavola con la famiglia. In più mostra il potere della Chiesa attraverso lo sguardo di ghiaccio di Emily Watson nel ruolo di Sister Mary, a metà tra la descrizione e una deformazione in cui è come un’apparizione demoniaca.

Small Things Like This fa vedere a intermittenza la sua indignazione proprio perché è un po’ troppo rigido e, nella sua ambientazione, ha il taglio BBC di un film British degli anni ’80. Più vitali sono i flashback: la tristezza di Bill appena apre il regalo, la casa della donna che ospitava lui e la madre che è una specie di carcere e da cui non sembra esserci via d’uscita. Proprio per questo poteva arrivare a essere quel ‘canto di Natale’ che è stato l’obiettivo di Keegan del romanzo e non doveva vergognarsi di possibili echi dickensiani. Trova però la complicità giusta in un finale che si ferma proprio nel punto dove il film doveva terminare. Qui il self-control del cinema di Mielants trova il passo giusto, quello che forse ha cercato anche precedentemente.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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