Sul lago dorato, di Mark Rydell

Un cinema che si fa vita e che, come un ricordo, ripercorriamo di tanto in tanto perché porta con sé un carico di malinconia. Oscar a Henry Fonda e Katharine Hepburn. Oggi, ore 19:05, Sky Cinema Drama

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“Era un eroe per così tante persone ma questo tipo di uomini non sono sempre buoni padri. È difficile essere entrambi”.

Non è un caso che il recente documentario su Jane Fonda della HBO1 prenda le mosse dal padre seguendo una narrazione classica in cinque atti, quattro dei quali dedicati a una figura maschile che è stata centrale nella sua vita. “Sono cresciuta all’ombra di un monumento nazionale”, così inizia il racconto privato su Henry Fonda, affermando subito la duplicità della sua immagine o meglio la realtà edificata dal cinema e dai media e quella che si trova al di sotto, visibile a pochi e distante dal sentire comune: “Era la faccia dell’America in cui le persone volevano credere. (La nostra famiglia) sembrava il sogno americano ma per gran parte era semplicemente un mito”.

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Probabilmente Sul lago dorato non esisterebbe se alla base non ci fosse stato un rapporto intenso e per certi versi conflittuale tra un padre e una figlia o perlomeno non avrebbe avuto lo stesso valore se fosse mancata questa scintilla di autenticità. Perché Sul lago dorato è più di un’opera teatrale e di un adattamento cinematografico, è la vita che si fa cinema: entrambi accadono contemporaneamente ed è impossibile dire quanto di ciò che vediamo davanti alla camera appartenga alla finzione.

Jane Fonda che è sempre stata dentro e fuori i canoni di Hollywood, troppo spesso giudicata per aver espresso le proprie tensioni morali e politiche, si è più volte adoperata per portare su grande schermo storie che voleva far conoscere: dalla riflessione sul Vietnam di Tornando a casa, all’inchiesta sui rischi delle centrali nucleari di Sindrome cinese, alla battaglia sulla condizione lavorativa delle donne nella commedia Dalle 9 alle 5… orario continuato. Sul lago dorato, di cui l’attrice acquista i diritti, ha ovviamente un significato speciale: “Avevo sempre voluto fare un film con mio padre”. Henry Fonda interpreta qui l’ottantenne Norman, un “bau bau” che punzecchia ma non morde, che con la moglie – la sempreverde Katharine Hepburn –, trascorrono l’estate nel loro cottage sul lago.

È una storia semplice, che propone un modello narrativo non certo originale, eppure è il modo in cui è costruita e presentata, nonché lo spessore dell’interpretazione dei due protagonisti, a farne uno di quei teneri ricordi che ripercorriamo di tanto in tanto perché portano con sé anche un carico di malinconia. Si parla di affetti trascurati e ritrovati – la figlia Chelsea, una Jane Fonda nel fiore degli anni – di confronti generazionali e seconde possibilità (l’amicizia tra Norman e il nipote adolescente), del rifiuto per un’età che avanza spedita. Norman è fissato con la morte – cerca continuamente nuove prospettive di fuga (gli annunci di lavoro sul giornale); questa è presente e, come nella migliore tradizione del racconto hollywoodiano, viene trattata con la dovuta vicinanza, emotiva ma non scioccante. Al tempo stesso gli slanci da commedia sono misurati, in una sceneggiatura – scritta da Ernest Thompson e premiata con l’Oscar – che ha l’unico vizio di coinvolgere lo spettatore: restiamo toccati dalle parole d’amore che Hepburn rivolge al marito (“Sei il mio possente cavaliere…”) e il trasporto cresce ancora nel ricongiungimento finale tra padre e figlia – nel film e nella vita Norman/Henry pensava che Chelsea/Jane fosse grassa, Fonda in realtà soffriva di disturbi alimentari.

Il quadro non sarebbe completo se non si menzionasse almeno il paesaggio, con la natura illuminata morbidamente dalla fotografia di Billy Williams: il volto di Hepburn, rischiarato dalla luce del tramonto, è semplicemente uno spettacolo senza tempo e richiama un altro altissimo momento di “uno dei più grandi scandali della storia del cinema”: quando Hepburn, anche lì madre che desidera la felicità per la figlia, esce sulla terrazza al calar del sole e commossa guarda l’orizzonte.

Sul lago dorato sancì un Oscar per Hepburn (il quarto) e uno per Henry Fonda: a ritirarlo fu Jane – l’attore era malato e sarebbe scomparso dopo qualche mese. Il film, che uscì nell’81, fece registrare negli Stati Uniti il secondo più grande incasso di quell’anno, al primo posto c’era I predatori dell’arca perduta: quasi una staffetta tra un’epoca nuova e una che si stava avviando a conclusione – nell’87 uscirà Le balene d’agosto, che condivide con il film di Rydell molte assonanze e un cast di attori straordinari (Lillian Gish, Bette Davis e Vincent Price).

1. Jane Fonda in 5 atti (2018), diretto da Susan Lacy.

Titolo originale: On Golden Pond
Regia: Mark Rydell
Interpreti: Henry Fonda, Katharine Hepburn, Jane Fonda Dabney Coleman, Christopher Rydell, Doug McKeon
Durata: 109’
Origine: USA, 1981
Genere: commedia, drammatico, sentimentale

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.5 (2 voti)
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