The Good Mothers, episodi 1 e 2

La serie DisneyPlus tratta da Alex Perry ha vinto Berlinale Series. Viaggio nella vita brutalizzata delle donne di ‘ndrangheta, codiretto da Julian Jarrold e Elisa Amoruso. Disponibile dal 5 aprile

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Continua l’attenzione produttiva recente nei confronti dei ritratti delle “donne di ‘ndrangheta”: dopo Carpignano e Costabile (Una femmina era tra l’altro proprio a Berlino un anno fa) è il turno di questo original DisneyPlus del quale si spartiscono la regia Julian Jarrold e Elisa Amoruso, sulla scorta del libro omonimo del giornalista Alex Perry.
Dal 5 aprile disponibile sulla piattaforma, la serie porta a casa il premio di Berlinale Series, dove abbiamo potuto vedere i primi due episodi, entrambi di Jarrold – ed effettivamente la costruzione è decisamente solida, la fotografia di Vittorio Omodei Zorini e Ferran Paredes Rubio setta da subito la natura misterica del racconto, a metà tra una dimensione oscura da incubo e l’enigma da decifrare di una scomparsa, quella della madre della giovane Denise Garofalo, Lea (Micaela Ramazzotti, con Amoruso già in Maledetta Primavera), ex-collaboratrice di giustizia di cui si perdono le tracce dopo che ha reincontrato il marito mafioso a Milano.

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E ora cosa succederà a Denise (Gaia Girace, la Lila de L’amica geniale, anche qui molto brava), trasportata di peso nei rituali e negli spazi angusti della “famiglia” dopo sette anni passati a nascondersi in giro per l’Italia con la madre? Parte da questo espediente il viaggio che gli episodi intendono fare nelle viscere della maniera vile, violenta e prevaricatrice con cui le cosche di ‘ndrangheta trattano le donne: mentre Denise dovrà affrontare l’immancabile pantagruelica festa di compleanno con gli invitati “importanti” e quelli affiliati, nel frattempo la narrazione ci farà conoscere anche la Giuseppina Pesce di Valentina Bellé, staffetta di “pizzini” per la sua famiglia, picchiata e ridotta al silenzio quotidianamente dagli uomini di casa.
Fare leva su queste donne brutalizzate è l’idea del pm Colace (Barbara Chichiarelli) per tentare di trovare una breccia nel sistema blindato della ‘ndrangheta. L’aspetto più convincente resta però il filtro adolescente con cui assistiamo agli snodi della vicenda: lo sguardo di Denise, la quale non subisce in alcuna maniera il fascino del male e del potere, allontana il mood di The good mothers dall’ennesima serie gangsteristica su frequenze epico-machistiche e permette insieme al boss di Francesco Colella di tratteggiare un personaggio ammantato di un senso tragico, e di una stanchezza millenaria. La sensazione che colpisce chiunque è quella di essere costantemente sorvegliati, e infatti ricorrono le inquadrature dall’alto, a suggerire la presenza di un’entità di controllo – la squadra del pm Colace tiene tutti sotto intercettazione, gli sgherri del padre non lasciano Denise sola per un attimo, anche nei flashback sulla madre Lea la donna si sente inseguita, braccata: la tensione viene costantemente verticalizzata in modo da “risolvere” visivamente anche il contrasto tra le metropoli e la rusticità dei paesini dove si è barricata la ‘ndrangheta (clash su cui si giocava tutto il capostipite del filone Anime Nere, per dire). Qui ogni aspetto diviene parte di un’unica nebbia percettiva che restituisce un paesaggio interiore abitato da codici imperscrutabili, verità evanescenti, legami ambigui e mai innocui (neanche il flirt “indotto” tra Denise e Carmine, giovane scugnizzo del padre…).

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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