Tre colori – Film Rosso, di Krzysztof Kieślowski
L’ultimo capitolo della trilogia dedicata ai colori della bandiera francese è una delle opere più disperate ma anche miracolosamente leggere e passionali del cineasta polacco, qui al suo ultimo film.
Non è soltanto uno dei tre colori della bandiera francese. Il rosso in quest’ultimo film della trilogia e del regista polacco è invece un elemento figurativo dirompente. Entra nelle strade nei manifesti pubblicitari, nelle insegne dei caffé, nelle mura delle abitazioni, nei vestiti, negli oggetti come la palla da bowling. C’è qualcosa che va al di là una prima lettura puramente estetica in Tre colori: Film rosso. E soprattutto c’è qualcosa che va al di là alla struttura dei tre film realizzati da Kieślowski. Innanzitutto perché questo riunisce idealmente gli altri due. È evidente nel finale quando tra i superstiti del naufragio ci sono anche Juliette Binoche e Olivier Regent da Tre colori – Film Blu e Julie Delpy e Zbigniew Zamachowski da Tre colori – Film bianco. In uno dei film più autenticamente disperati, il cinema di Kieślowski trova il miracolo di uno slancio vitale, di un risveglio. Il Caso e il Destino continuano ad essere elementi fondamentali nel mettere in relazione le azioni e i collegamenti tra i personaggi. Tra passato e presente. Il pensiero e il movimento trovano però stavolta la sintesi ideale.
A Ginevra la modella Valentine Dussaut (Irène Jacob) una sera investe accidentalmente un cane di nome Rita e risale al proprietario, Joseph Kern (Jean-Louis Trintignant), un giudice in pensione che spia le conversazioni telefoniche dei vicini. Al tempo stesso la strada della ragazza si incrocia con quella di Auguste, che sta per diventare giudice anche lui ma avrà una cocente delusione sentimentale.
Tre colori – Film rosso è il capitolo dedicato alla fraternité. L’altruismo di Valentine contrasta con l’egoismo del giudice. Sono due figure opposte che però si attraggono. Il loro avvicinimamento procede progressivamente, attraverso la scrittura geometrica dello stesso Kieślowski con il fedele sceneggiatore Krzysztof Piesiewicz. Lì emergono attraenti e impossibili desideri, soprattutto sul corso che la vita avrebbe potuto prendere se Joseph fosse stato più giovane e Valentine più anziana. Ma entrambi portano le cicatrici di un amore tormentato. Il giudice quello del tradimento, Valentine quello di una storia d’amore tormentata che non decolla mai ma anzi le toglie respiro.
Tre colori – Film rosso, come gli altri due film della trilogia, esibisce le sue coincidenze. La pagina del libro che si apre che poi coincide con la domanda che viene fatta all’esame, i titoli dei giornali, il destino dell’uomo colpevole che invece è stato assolto dal giudice e poi ha condotto una vita esemplare. Il concetto di giustizia si incrocia quindi con quello del destino individuale. Ma non è un cinema sovraccarico ma somiglia invece a una leggera sinfonia dove gli accadimenti scorrono parallelamente all’accompagnamento discreto, presente ed emozionante della musica di Zbigniew Preisner. Non c’è il doppio dichiarato di La doppia vita di Veronica ma la figura di Iréne Jacob stavolta potrebbe vivere più esistenze contemporaneamente con il corpo di un solo personaggio. L’immagine è racchiusa in quell’inquadratura mentre nel negozio di dischi ascolta la musica con le cuffie. Fisicamente è lì. La sua testa vola da tutt’altra parte. Il progressivo avvicinamento con il giudice è l’esempio di come l’elaborazione della scrittura e il cinema possono creare l’equazione più semplice e coinvolgente.
Inoltre il voyerismo è prima di tutto quello sonoro. L’ascoltare prevale sul vedere. Però c’è anche l’immagine del giudice che guarda Valentine dalla vetrata di casa sua. Ogni inquadratura è sottolineata, studiatissima, come quella in cui si vede l’auto rossa di August con la sua compagna dopo che Valentine è uscita dall’abitazione del giudice. Però nel controllo formale ci sono tutti i fili della vita che corre, tutta la passione, il dolore e il desiderio che in Kieślowski si impongono e riempiono ogni immagine.
Tre colori – Film rosso è un film passionale. Anche nei suoi simbolismi. L’enorme telone pubblicitario con il volto della protagonista che cade a terra a causa del vento e il temporale a galleggia nell’asfalto anticipa il naufragio della nave in cui sta viaggiando Valentine. C’è un impeto che va di pari passo allo stile del regista polacco. C’è però dentro un altro miracolo. Ed è il fantasma di Truffaut. Potrebbe esserci alle spalle di Tre colori – Film rosso un immaginario romanzo alla Roché, uno sguardo nella macchina da presa di Jacob e Trintignant che raccontano in dissolvenza le loro vite. Tutte magiche ipnosi, forse inconsciamente avviate dai fili del telefono in apertura del film. Lì il tentativo di conversazione viaggia nel mondo come la posta sotto il terreno di Parigi in Baci rubati. Il rosso diventa il fuoco. Non c’è più nulla di freddo, di costruito. Per questo l’ultimo capitolo della trilogia non solo è decisamente superiore agli altri due (il blu soprattutto) ma diventa la sintesi perfetta tra Il Decalogo e un cinema che spalanca gli occhi e si apre sul mondo. E che, a causa della morte di Kieślowski avvenuta due anni dopo questo film, resta magnificamente non incompiuto ma solo interrotto.
Titolo originale: Trois couleurs: Rouge
Regia: Krzysztof Kieślowski
Interpreti: Irène Jacob, Jean-Louis Trintignant, Jean-Pierre Lorit, Frédérique Feder, Samuel Le Bihan, Roland Carey, Teco Celio, Marion Stalens
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 99′
Origine: Francia, Svizzera, Polonia 1994
Il più bel film che abbia mai visto, semplicemente!