(unknown pleasures) 5 Days of War, di Renny Harlin
Questo è un film interessante, perché produce continui ragionamenti oltre le sue stesse immagini. Chiaro che i fenomeni a cui ci si riferisce (la crisi russo-georgiana del 2008) sono infinitamente più complessi. Ma qui si manifesta anche la forte e ambigua consapevolezza che la guerra negli anni '00 non esiste se non nella sua immagine. Renny Harlin è un regista sempre più in “superfice”…
Ora: è chiaro che i fenomeni a cui si fa riferimento sono infinitamente più complessi di quanto la semplificazione estrema di questo film faccia “immaginare”; e ancora: è chiaro che il valore testimoniale di queste immagini (nei confronti dei tragicissimi fatti del 2008) risulti quantomeno dubbio sposandone incondizionatamente un unico punto di vista. Ma non è questo in discussione. Perchè quel che c’è di interessante in quest’operazione è la fortissima consapevolezza – molto più ambigua di quel che il film esplicita – che la guerra di oggi “non esiste” se non in immagine. Che la si combatte ormai “in diretta”, filtrata dall'occhio manipolabile dei media, nell’unico“campo di battaglia capace di mutare i destini della Storia: i nostri schermi (Tv, Pc, e mille altre paittaforme). Da questo punto di vista il film di Harlin si inscrive in pieno in quella profonda mutazione di genere che il war movie contemporaneo ha manifestato negli ultimi anni: da Nessuna Verità a Redacted, dallo strepitoso dittico iracheno di Kathryn Bigelow arrivando a Green Zone di Greengrass. Tutti film che hanno ridiscusso il visibile spostando l’accento sull'ambigua percezione mediale della guerra. Ecco: superata l'architrave retorica manifesta ed elementare di questo film, se ne possono vedere chiaramente le tracce. C’è una piccola e spettrale sequenza che “mostra” molto più di quel che “dice”: una giovane sposa con il vestito bianco insanguinato scende le scale e riabbraccia commossa la sorella; questo piccolo fatto privato viene catturato come un riflesso condizionato dall’occhio di una telecamera usata come un'arma puntata sul fatto. Il sicero abbraccio diventa qualcos’altro sotto i nostri occhi, diventa un’immagine-informazione potenzialemnte riutilizzabile nell’arena mondiale. Ecco: l’ossessione che i personaggi (indistintamente, da tutti e due gli schieramenti) manifestano per le “memory card” come le uniche armi oggi capaci di cambiare il destino della Storia è veramente un’eredità spaventosa che il nostro tempo ci consegna. E Renny Harlin (che piomba sui personaggi sempre dall'alto, oggettivando ogni sguardo) resta un regista molto più consapevole di quanto “superficialmente” non manifesti.