A Rosa Azul de Novalis, di Gustavo Vinagre e Rodrigo Carneiro

La vita di Marcelo, dandy decadente, viene eviscerata passo dopo passo, aneddoto dopo aneddoto, senza mai glissare sui fatti più intimi della persona. Dal Sicilia Queer Filmfest 2020

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«La definizione di cinéma vérité dovrebbe essere: “come torturare il soggetto del tuo film”». È questa una delle sentenze che più lasciano il segno tra le tante pronunciate da Marcelo, il protagonista di Rosa Azul de Novalis, mediometraggio presentato in questi giorni al Sicilia Queer 2020.

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Con una sentenza del genere, seppur recitata tradendo una certa pudicizia a favor di camera, il lavoro di Gustavo Vinagre e Rodrigo Carneiro non poteva che strabordare immediatamente dai binari dell’eterodossia per abbracciare un approccio (meta)narrativo spietatamente hardcore.

La vita di Marcelo, dandy decadente deprivato di qualsiasi impulso superomista, viene eviscerata passo dopo passo, aneddoto dopo aneddoto, senza mai glissare sui fatti più intimi della persona.

È un cinema che non vive certo di metafore, quello squadernato da Vinagre e Carneiro.
Non è nemmeno un cinema di denuncia, a dir la verità. Eppure la sensazione era quella di conoscere una storia a tinte forti, almeno nella parte iniziale del lungometraggio.

L’espediente dell’autoconfessione all’interno delle quattro mura casalinghe poteva ricordare lavori come El Sicario – Room 165 di Gianfranco Rosi oppure i ben più sperimentali Dulcinea e Pierino di Luca Ferri (che proprio durante la kermesse siciliana ha presentato la sua Trilogia domestica).

Poi però questo Rosa Azul de Novalis decide di torturare definitivamente il soggetto del film, per farlo annegare in un mare di suggestioni forse poco efficaci.
La seconda metà del lavoro è una sterzata onirica in cui c’è dentro il Cronenberg porno-futurista di Crash, oltre alle rettoscopie che ricordano i Diamanti Grezzi dei Safdie.   

Tutto allora sembra tendere verso un manierismo che lo script iniziale non meritava di subire.
Ogni possibilità catartica viene diluita in nome di un sensazionalismo che si tiene alla fine lontano dal cinema di poesia. Ed è un vero peccato, perché è entro il dissidio pasoliniano tra vita e morte, tra i meandri della non-accettazione, negli interstizi dell’incomunicabilità che spesso si generano i mostri ed i film migliori.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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