Audrey Hepburn, dentro la favola della vita

audrey hepburn in Sabrina

A vent’anni dalla morte, il fascino di Audrey Hepburn è rimasto immutato. È stata una diva che ha annunciato il mutamento del costume a cominciare dalle sue misure “controcorrente” nell’era dell’opulenza femminile. Con un’aria distaccata dalle cose ha raccontato l’ingenuità e nessuno potrà dimenticarla nei tratti essenziali di quella leggiadria innata 

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Audrey HepburnIn realtà il suo nome era Audrey Kathleen Ruston, ma tutti l’abbiamo conosciuta come Audrey Hepburn, e aveva ereditato il cognome dalla nonna paterna. Con questo nome l’abbiamo vista imporre la sua minuta presenza in tanti film che hanno annunciato il mutamento del costume, un modello di femminilità che le apparteneva, una certa idea per cui era possibile superare, in nome dell’amore, con agilità gli steccati tra classi sociali. La sua carriera è stata intensa, ma non particolarmente congestionata dalla ricerca della popolarità. Con quell’aria distaccata dalle cose del mondo eppure così dentro ai mutamenti che si imponevano nelle società occidentali tra gli anni ‘50 e ‘60, Audrey Hepburn ha rappresentato l’evoluzione del personaggio femminile che abbandonava il fascino glamour per indossare le vesti di una seduzione meno esibita, più discreta e forse più subdola. La Hepburn ha attraversato la scena imponendo per la figura femminile una visione di semplicità, quell’acqua e sapone dal fascino irrinunciabile. Timida, discreta e determinata, con i suoi occhi troppo grandi per il suo viso piccolo e regolare, che le davano quell’aria ingenua e sbarazzina da “cerbiatta” che si è portata dietro per tutta la vita. Così la ricordiamo ancora, donna fatta, nell’ultimo film che ha interpretato, il malinconico e quasi segreto Always di Steven Spielberg con Richard Dreyfuss, remake di Joe il pilota di Fleming.

La sua origine, divisa tra una nobiltà nord europea e una educazione anglosassone e il dolore giovanile perAudrey Hepburn l’allontanamento del padre simpatizzante del nazismo, l’aveva portata ad affrontare una giovinezza non propriamente spensierata nonostante i presupposti.

I suoi primi passi nel mondo dello spettacolo avvennero grazie alla danza. Aveva studiato al Conservatorio di Arnhem in Olanda, dove si era rifugiata con la madre nella speranza di sfuggire al nazismo e in quella stessa città aveva frequentato la scuola di danza. Compiva esattamente 16 anni quando le truppe alleate liberarono l’Olanda e per Audrey si aprivano le porte della libertà. Aveva sofferto di malnutrizione e per questo le fu preclusa la carriera di danzatrice. Ma questo handicap diventò il suo punto di forza anticipando sui tempi un modello femminile apparentemente inattuale. Era il tempo dell’opulenza delle dive: Marilyn Monroe, Jane Mansfield, Rita Hayworth. In altre parole tutt’altro genere. Ma era questo il marchio della personalità della Hepburn. Tra il 1948 e il 1952 partecipò a piccole produzioni cinematografiche, a teatro ebbe la fortuna di essere scelta come protagonista nella commedia Gigi di Colette che le valse il Theatre World Award per il debutto. Nel 1952 l’incontro con William Wyler, un provino e l’inattesa assegnazione del ruolo di protagonista in Vacanze romane, quello della principessa Anna. Wyler fu folgorato dalla sua presenza e come ebbe a sottolineare da quella combinazione di innocenza, fascino e talento. Per questo le predisse la vittoria dell’Oscar che arrivò nel 1954. Dalla favola della principessa in incognito e dello scalcagnato principe azzurro, ad una altra, quella della povera figlia dell’autista di una ricca famiglia e dell’amore con il burbero figlio maggiore. Sabrina di Billy Wilder è il secondo film importante della sua carriera che alternava al teatro e alla sua smisurata passione per la moda, le collezioni, i vestiti. Fu divertente l’incontro con Givenchy con cui avrebbe stretto un’amicizia e un rapporto professionale che sarebbe durato per sempre.

Audrey HepburnL’attrice minuta e affascinante, l’elegante elfo che attraversava la scena hollywoodiana, aveva ormai conquistato il suo posto vincendo numerosi e ambiti premi per la sua recitazione e nel 1957 altri due film arricchiscono la sua filmografia. Cenerentola a Parigi che le offrì l’occasione di tornare al ballo e soprattutto di poterlo fare con Fred Astaire e Arianna seconda collaborazione con Wilder, che rinnovava la sua passione musicale e confermava la sua immagine di giovane donna il cui fascino raffinato faceva perdere la testa al maturo e disincantato uomo d’affari.

Come ebbe a notare qualcuno, nei suoi film la Hepburn non ha mai madre, sempre un padre, così in Arianna, così in Sabrina e così anche in Vacanze romane. L’orfana comunque cresce bene e se nel 1960 gira con Huston Gli inesorabili, sarà nel 1961 che girerà il film che forse più di ogni altro la rappresenta, sembra le sia stato cucito addosso, Colazione da Tiffany di Blake Edwards, grande e un po’ dimenticato realizzatore di commedie, geniale inventore di personaggi femminili, dotato di un intuito e un senso dello spettacolo non comune. Il film è l’icona della Hepburn, nessuno potrà dimenticarla in quelle pose ironicamente ammiccati in cui sono stati catturati i tratti essenziali di quella leggiadria innata e di quella leggerezza che non è mai stupidità.

Una seconda, ma meno fortunata, collaborazione con Wyler segnerà il 1961 anno d’uscita di Quelle due. L’originale Sciarada di Stanley Donen (1963) le offrì la possibilità di lavorare con Cary Grant, che l’anno successivo a chi gli chiedeva che regalo desiderasse per il natale rispose: girare un altro film con Audrey Hepburn.

Con My Fair Lady del 1964, per la regia di George Cukor, la Hepburn realizzò un altro film che riassumeva i suoi trattiaudrey hepburn con richard dreyfuss in Always caratteristici. La storia della fioraia che diventa dama dell’alta società è un percorso che la Hepburn ha più volte interpretato, probabilmente anche nella vita. Le storie che sono appartenute all’attrice, come in un cliché da favola, hanno raccontato di un mondo sognante, romaticamente legato all’idea di un amore impossibile, vuoi per ragioni di età (la Hepburn si è sempre innamorata, così nel cinema, come nella vita, di uomini maturi e più anziani di lei), vuoi per ragioni di differenze sociali. Il cinema, il suo cinema, a rileggerlo oggi a vent’anni dalla sua morte, ha azzerato queste distanze, ha abbattuto quegli steccati con un’operazione che sarebbe molto interessante potere leggere anche in chiave psicoanalitica.

La sua carriera verso la fine ha rallentato la sua corsa, mai sfrenata in realtà, essendosi voluta dedicare molto alla famiglia, ai suoi amori. Come rubare un milione e vivere felici (1966) è stato il suo terzo film con William Wyler, Due per la strada (1967) il secondo con Donen.

Nel 1976 interpretò un film che se non ci fosse stato il malinconico Always sarebbe stato ultimativo, Robin e Marian di Richard Lester. Un film in cui un acciaccato Robin Hood rincontra, dopo molti anni, una matura Marian. Dolori e reumatismi, stanchezza e pigrizia, ma un amore sempre vivo e vibrante lega i due amanti combattenti. Un film d’altri tempi, un cinema che emblematicamente chiudeva gli anni ’70 preparandoci al nuovo decennio, quello del riflusso (oggi sembra archeologia, ma in quelle radici c’è il nostro presente), quello degli eroi stanchi, delle passioni sopite, dell’addio di Audrey Hepburn dalle scene.

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