CiakPolska presenta i Grandi Classici del cinema polacco

Dentro la rassegna per l’edizione 2023 vengono proposti i nomi più celebri della cinematografia polacca, ed un occhio di riguardo alla guerra ed alle sue conseguenze

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Per l’undicesima edizione di CiakPolska la scelta dei titoli da presentare è caduta sui grandi nomi della cinematografia polacca, Polański, Wajda, Jakubowska, Has, Munk, Zanussi e vede come ospite d’onore Jerzy Skolimowski, inseriti dentro una rassegna al Palazzo Esposizioni, i Grandi classici del cinema polacco, un programma di lungometraggi affiancato da cinque cortometraggi di Kieślowski. Maestri conclamati di opere che oltre a raccontare la Polonia hanno un respiro universale.

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Illuminazione (1972) di Krzysztof Zanussi si apre con Sant’Agostino e si muove su un crinale di scienza e religione. Franciszek è una giovane matricola iscritta alla Facoltà di Fisica di Varsavia, e nelle aule dell’Università, tra i concetti e le formule matematiche, spera di trovare risposte alle domande che rendono il suo animo inquieto. Un film laboratoriale, sezionato da intervalli di documenti, grafici e statistiche, che invece di certezze avanza dubbi, delusioni, questioni di natura etica e sociale. Magnifico esempio del cinema di Zanussi e vincitore non a caso del Pardo d’Oro, rende omaggio ai dilemmi, lasciando trasparire in ogni atto di fede celeste o terrena l’insorgere di una crisi, la volubilità del destino, instabile vascello in balia delle onde. Nel film di Wajda, La terra della grande promessa (1975), un kolossal in costume ambientato a Łódź sul finire del XIX secolo, il sogno ambizioso di Karol, un nobile del posto, serve ad osservare come l’arrivo della società industriale abbia modificato il territorio, e quanto l’opulenza garantita dal capitalismo sia coincisa spesso con l’arrivo della corruzione, di una distruzione indiscriminata del passato portatore di valori considerati ormai obsoleti. Una riflessione sui punti regressivi del progresso, gli abusi di potere, lo sfruttamento dei lavoratori, l’atteggiamento cinico dei padroni. Quello che sembra interessare al regista attraverso il percorso del protagonista, vittima delle sue stesse infedeltà sentimentali, è come il germe del collasso di un sistema innaturale sia sempre e comunque faccenda umana, dipenda dall’avidità e dalle gelosie, e possa essere autosabotato sotto un’incendiaria spinta emotiva.

La guerra è uno dei temi principali della rassegna, in particolare il secondo conflitto mondiale.Come essere amata (1963) di Wojeciech Jerzy Has rivive nella memoria di Felicja i tempi dell’occupazione tedesca, i soprusi dei soldati, la violenza, le delazioni, il collaborazionismo e di contro la resistenza e l’amore per l’arte, in un viaggio psicologico a ritroso fino a quei momenti dell’esistenza destinati a cambiare la vita, a volte drammatici, a volte felici, attimi, un gesto innocente, una parola che fa battere il cuore. Nello stesso periodo storico è ambientato anche La Passeggera di Andrzej Munk, un film la cui realizzazione è rimasta incompleta per la morte del regista, presentato dopo un restauro e l’aggiunta di una voce narrante come filo direzionale della storia. Anni dopo la fine della guerra Liza incontra fortuitamenteuna donna durante un viaggio in nave, ed in lei riconosce una delle detenute del campo di concentramento Auschwitz-Birkenau, dove aveva l’ignobile titolo di kapò. Di quel cortocircuito di umanità che fu l’Olocausto il film riesce a fare un quadro esaustivo con poche magistrali sequenze agghiaccianti e rigorose. Ed ancora ad Auschwitz-Birkenau è lo scenario del film L’ultima tappa di Wanda Jakubowska, che ha un inizio di chiaro stampo neorealista. Il lugubre arrivo dei treni, il filo spinato, le ciminiere dei forni, la terribile vita dei lager osservata dal punto di vista delle donne, quelle prigioniere e quelle schierate tra le fila dei torturatori. Mentre si perfeziona il sistema per accelerare la soluzione finale, rendere le camere a gas capaci di cremare fino a 50000 persone al giorno, e si susseguono le violenze e le crudeltà, nel controcampo viene sottolineata la solidarietà e l’abnegazione. La morte è incombente, gli ordini impartiti in un’atmosfera tetra, un’orchestra costretta ad accompagnare con la musica i passi verso l’abisso, ed i canti intonati per farsi coraggio.

Del pentalogo documentaristico di Krzysztof Kieślowski, Sono stato un soldato (1970) è un eccezionale manifesto antimilitarista, una condanna definitiva della guerra, barbara, ingiustificata, deriva sanguinaria senza alcuna utilità. Un lavoro toccante, strutturato sopra le interviste dei reduci della Seconda Guerra Mondiale rimasti ciechi. Nella disperazione di finire nel buio, oppressi dallo stress post traumatico, i sogni diventano un angolo di luce, un rifugio dove distribuire i ricordi, e ricreare le forme di una realtà orfana di una dimensione dentro uno spazio onirico. Ritornello (1972) è una metafora della società del controllo costruita osservando l’interno di una agenzia di pompe funebri nella sua quotidianità burocratica, con il tema della morte che viene meccanizzato, spogliato dal suo eco di dolore e dal suo significato rituale per diventare soltanto un punto in agenda, altro lavoro di sconvolgente attualità. In Teste parlanti (1980) Kieślowski pone alle persone che intervista due semplice domande: chi sei? cosa desideri? E comincia da alcuni bambini per poi risalire il tempo con una cronologia inversa fino agli anziani, tracciando un’epoca grazie a 44 primi piani, la gioia, il futuro, i rimpianti, i sogni ancora da inseguire. Ottiene risposte dettate dall’emotività o intelligenti riflessioni sull’essere umano in relazione a sé stesso ed agli altri, differenze di vedute, educazione, classe sociale, una ricchezza di opinioni che dal piatto mondo contemporaneo appare ormai aliena. La radiografia (1974) girato in un sanatorio è un ritratto malinconico e tragico su persone affette da malattie croniche debilitanti, malattie che le hanno costrette ad abbandonare il lavoro, a rivedere la loro quotidianità con una drastica riduzione della prospettiva, impegnate a trovare nuovi significati, nuovi obiettivi per cui lottare prima di sentirsi morire. Sette donne di età diversa (1978) è invece un documentario osservazionale, un ritratto generazionale disegnato sopra i corpi di sette ballerine classiche. Le parole qui diventano imperative, lo spazio è occupato dalle sagome danzanti e la narrazione diventa questione di movimento, gesti ed attese per un ruolo voluto per tutta la vita, l’ambizione limitata ad uno sguardo nel vuoto.

Chiudono un programma di altissimo profilo due esordi, quello di Roman Polański e quello di Jerzy Skolimowski, presente come ospite, arrivato a Roma per presentare anche il suo ultimo film Eo. Rysopis – Segni particolari: nessuno è un film accademico (il più povero e primitivo lo definisce il regista), composto di pezzettini di girato raccolti durante i 4 anni della scuola di Łódź, facendo attenzione a non sprecare neanche un centimetro di pellicola (eliminando a tal riguardo anche i ciak), per il quale Skolimowski è stato protagonista in prima persona. L’organizzazione frammentaria del lavoro lascia intatta la sua forza espressiva, lo rende anzi a distanza di tempo ancora più efficace ed attuale, le lacune di sceneggiatura rendono la storia moderna e piuttosto che privarla di qualcosa le aggiungono fascino. Di sicuro è indiscutibile l’embrionale talento nell’uso disinvolto del piano sequenza, nel ritmo dinamico delle immagine, nei pochi dialoghi >dove emerge la capacità di creare situazioni di delicata disillusione. Ben più conosciuto è l’altro lungometraggio di debutto che viene riproposto, Il coltello nell’acqua di Polański. L’incontro di una coppia benestante con un giovane autostoppista dall’aria innocua serve ad innescare un clima di antagonismo virile agli occhi della donna ed a creare delle atmosfere da thrilling movie, offrendo tra le righe una disamina di classe. Essendo girato prevalentemente in barca, anticipa lo sviluppo degli spazi angusti, usati per amplificare il conflitto, e rivisti in seguito in Carnage o in La morte e la fanciulla. L’onore di chiudere la kermesse tocca invece ad Ida di Paweł Pawlikowski, premio Oscar come miglior film straniero, per certi versi propedeutico a Cold War, spettrale, gli echi della guerra nei cadaveri sepolti in un bosco, una ricerca delle origini ed un mondo segnato dalla tragedia. Un finale con un’altra grande figura femminile, per una manifestazione che è sempre più una certezza.

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