Cinema di Quartiere: l’incontro con Simone Isola

Si è svolto su Facebook il primo dei tre incontri della rassegna in cui il produttore di La mia classe ha parlato del film, di cosa sia il cinema indipendente e della riapertura delle sale.

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Durante l’incontro con Simone Isola, svoltosi ieri su Facebook e nel quale il quale il produttore ha presentato il corso di Produzione e distribuzione in partenza il 10 marzo, viene proiettata una clip di La mia classe di Daniele Gaglianone. Il personaggio di Valerio Mastandrea, protagonista del film presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia nel 2013, si rivolge a un suo collega e dicendo con un sorriso amaro che “quello che facciamo non serve a un cazzo”. Una frase che salta subito alla memoria di chi ha visto La mia classe, che per Isola ha anche un valore fortemente autoriflessivo. “Qualunque racconto non sarebbe stato all’altezza di quelle vite, è una sorta di ammissione di debolezza del racconto cinematografico. La battuta non è stata preparata prima, ma nasce da questa inquietudine di fondo”.

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Isola parla de La mia classe come di un “esperimento”, che mescola elementi di finzione con altri documentaristici. Un attore insegna italiano in una scuola per extracomunitari che vogliono imparare la lingua per ottenere il permesso di soggiorno. Gli studenti reali della scuola sono stati chiamati a interpretare sé stessi, in una coincidenza che ha plasmato il risultato finale dell’opera. Una commistione tra realtà e finzione che caratterizza molte produzioni documentarie contemporanee e che rende La mia classe un’opera in anticipo sui tempi. Oggi, però, è ancora possibile un racconto del reale? Per Isola sì: “Al di là del linguaggio che si adotta, è necessaria la piena consapevolezza di ciò che si sta raccontando e avere il rispetto del pubblico, in quanto spettatore pensante, in grado di avere una riflessione critica. Questo è il solco che per me separa il cinema da tutte gli altri tipi di produzione, che comunque hanno la loro dignità”.

la mia classe

Isola non apprezza quando si parla di periferia movie, che alcuni considerano un vero e proprio filone. “Io vedo il film, non mi faccio condizionare dall’ambientazione. La periferia di Non essere cattivo è diversa da quella di Fiore e da quella di La terra dell’abbastanza”. La sincerità è per il produttore una caratteristica fondamentale per raccontare una storia e per essere davvero un autore indipendente. Incalzato dalla domanda di Gianluca Arcopinto, intervenuto nei commenti della diretta, Isola ha cercato di definire il film indipendente: “È un’opera che esprime uno sguardo libero, non condizionato da chi sfrutterà economicamente il film”. Claudio Caligari, di cui ha prodotto Non essere cattivo e al centro del documentario co-diretto da Isola stesso Se c’è un aldilà sono fottuto, è per lui un esempio di cineasta “libero”: “Non gli interessava tenere attaccato lo spettatore a una storia, non aveva alcun intento ricattatorio. Gli interessava piuttosto raccontare degli ambienti e delle dinamiche di alcuni personaggi, mettendosi al loro livello prima di giudicarli”.

Proprio questo sguardo slegato da influenze esterne è secondo lui a rischio. Innanzitutto, a causa della pandemia: i protocolli di sicurezza sul set, nonostante la loro necessità, sono molto difficili da sostenere economicamente per le piccole produzioni. Oltretutto, il rafforzamento dei servizi streaming a dispetto della sala sta creando un collo di bottiglia che assomiglia a “nuovo e più forte monopolio”. Anche perché “difficilmente i grandi player dello streaming, quando finanziano un’opera rinunciano al controllo sul contenuto”. Una difficoltà che si fa anche più pesante nel momento in cui la direzione politica non difende in maniera decisa né la sala né le produzioni indipendenti. “Il tax credit esterno al 30% aperto anche a film tv e serie televisive parla chiaro. Dopo tre ore dall’apertura della finestra del 2020 per richiedere al Ministero i fondi, questi si sono esauriti. Una grande produzione può produrre un film e aspettare l’anno successivo per richiederli nuovamente, un produttore piccolo semplicemente non fa il film”.

La stessa sala ha un bisogno impellente di promozione per riabituare lo spettatore alla visione condivisa, per riportarlo in sala appena sarà possibile: “Serve ben più del semplice mercoledì a due euro. Serve un piano articolato, magari riportando film non di prima visione in sala. Serve ora, non tra un anno. Pensare che il mercato cinematografico funzioni come un interruttore è una follia: nessuno spenderebbe 200.000 euro per mandare un film in sala quando tra due settimane ci si ritrova magari in zona arancione”. L’incontro si chiude, quindi, con una chiamata alle armi in difesa della sala: secondo Isola è proprio questo il momento propizio per associazioni, cinema e appassionati per far sentire la propria voce in difesa della visione collettiva, soprattutto tramite attività di quartiere. Una visione imprescindibile sia per chi il cinema lo fa sia per tutti coloro che lo fruiscono.

Il prossimo incontro della rassegna Cinema di Quartiere, realizzata col contributo della Regione Lazio, è con Franco Ferrini di venerdì 5 marzo alle 19:00, che parlerà de Il cartaio di Dario Argento di cui è autore della sceneggiatura. Venerdì 12 toccherà a Mimmo Calopresti che racconterà L’abbuffata.

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