Dream Scenario, di Kristoffer Borgli
A tratti svela forse troppo la sua natura di work in progress ma rimane un lucido pamphlet sul nostro rapporto con un immaginario sempre più immerso nel digitale. Grand Public
Qualcosa dev’essere evidentemente andata storta. La cautionary tale di Sick of Myself di Signe, dipendente dagli sguardi altrui, drogata di attenzione e ridotta, per questo, a fare i conti con un corpo sempre più deformato ha evidentemente fallito. E allora Dream Scenario, che è il terzo film di Borgli ed il primo progetto a produzione americana della sua filmografia, pare situarsi in uno spazio residuale, in un “dopo” apocalittico per il modo in cui porta in primo piano l’elemento patologico di Singe e lo mette a sistema.
Lo straordinario Paul Matthews di Nicolas Cage pare in effetti uno strano gemello americano di Singe ma, in realtà, è soprattutto un uomo che è rimasto indietro. Professore di biologia insicuro, ordinario, con moglie, due figlie ed un libro sulle formiche che vorrebbe scrivere da anni, Paul prende sempre più coscienza che tutti coloro che lo circondano hanno avuto più successo di lui nella vita e che lui si ritrova a occupare il ruolo di figura di sfondo nell’affresco della sua quotidianità. Il riscatto arriva quando l’uomo inizia a comparire nei sogni di migliaia di persone. Non fa nulla, osserva l’azione, ma tutti sembrano amarlo, anche se nessuno sa spiegarsi le ragioni del fenomeno. E allora arrivano la fama, i telegiornali, i contratti, forse anche la possibilità di pubblicare quel libro. Paul è felice e si gode la rivincita, anche se, forse, dovrebbe chiedersi quanto durerà quest’affascinante giro di giostra.
Mentre Paul fa i conti con la celebrità improvvisa Borgli firma, ad oggi, quello che è il suo film più teorico, di fatto un agile saggio attraverso cui prova a riflettere sui nuovi modi di intendere l’immagine e di rapportarsi ad essa. Lo fa con chiarezza spiazzante, a partire proprio dal suo protagonista, spettatore zero di narrazioni immaginifiche altrui che non sembrano più avere referenti nel mondo reale ma solo in altri spazi, nei sogni o, in prospettiva, nell’infosfera digitale.
Dopotutto a suggerire questo parallelo è lo stesso Brogli, che dà a Nicolas Cage, meme actor virale per eccellenza, il ruolo di protagonista ma che, forse soprattutto, tra parentesi che provano a spiegare la viralità o l’influencer marketing, fa dire ad uno dei suoi personaggi forse una delle frasi che racconta meglio, ad oggi, il nostro rapporto con la rete: “i meme, nel tempo, diverranno l’unica materia possibile dei nostri sogni”.
Ed in effetti non è così difficile percepire il germe digitale delle immagini oniriche di Dream Scenario, sfuggenti, non finite, preda del flusso, apice dei contenuti user generated che Paul ad un certo punto vuole farsi raccontare come in preda ad una frenesia o ad uno scroll infinito in cui si confronta (e noi con lui) con schegge narrative che nascondono altri racconti, altri mondi, altri generi, altri film, che si avvicendano senza preoccuparsi della coerenza interna.
Forse non scopre davvero nulla di nuovo, Brogli, qualcuno, anzi, potrebbe dire che spunti del genere c’erano già in Everything, Everywhere, All At Once, che a tratti pareva davvero un manifesto dell’unico cinema possibile per la GenZ. Eppure nel film dei Daniels c’era più programmaticità, Brogli pare invece già posizionarsi al di là della crisi. È così e basta, non ricordo neanche più com’era prima, dovete adattarvi, sembra dirci, con una pragmatica totalmente nordica. Ma Brogli è davvero pronto all’idea di cinema che sta proponendo?
Pur essendo agilissimo a costruire le sue immagini a tratti pare ancora preda della bulimia tematica di Sick Of Myself, che rischia di zavorrare un racconto che dovrebbe essere allucinato, grottesco e che invece, impantanato nel mondo vero, nelle vicende “terrene” di Paul, rischia di far appassire immagini altrimenti vivissime. Ma forse fa parte del gioco, forse aiuta dimostrare che le vere narrazioni non sono più nel cinema propriamente detto, forse, ancor meglio, bisogna concedere a Brogli ancora un po’ di tempo per aggiustare il tiro.
I passaggi spiazzanti di Dream Scenario hanno in effetti tutta l’aria di essere l’exploit di un film comunque laboratoriale, teso su uno spazio tutto da costruire forse anche in termini argomentativi. Lo raccontano, forse, certi tentativi di Brogli di emendare certe svisate dei film precedenti, il suo crudo moralismo, il distacco con cui si è rapportato finora ai suoi personaggi. Ora invece pare svuotare la cancel culture di ogni pretesa militante, come a considerarla un automatismo della contemporaneità, che entra in gioco al di là della natura dell’indignazione. Sembra già un uomo nuovo, che non molla mai davvero il suo protagonista e, anzi, a volte lo guarda quasi con affetto, con il calore che si riserva a certi eroi dei grandi melò.