Escape Plan – Fuga dall’inferno, di Mikael Håfström

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Se è proprio vero che oggi i film si costruiscono e definiscono mascherandosi e nascondendosi nell'onnipotenza della postproduzione, qui siamo inevitabilmente in un'altra epoca. I gesti sognano ancora di dichiarare il loro tempo reale, di mostrarsi nell'integrità del loro sviluppo e nella radicalità delle loro conseguenze

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escape planMa da quale prigione vogliono scappare, in realtà, Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger? Non certo da quella del genere, a cui si prestano corpo (e anima), con una dedizione e un’energia non molto diverse da quelle di trent’anni fa. Perché per loro l’action è ancora un atto di forza e fede, che non ammette trucchi. Se è proprio vero che oggi i film si costruiscono e definiscono mascherandosi e nascondendosi nell’onnipotenza della postproduzione, qui siamo inevitabilmente in un’altra epoca. I gesti sognano ancora di dichiarare il loro tempo reale, di mostrarsi nell’integrità dello sviluppo e nella radicalità delle conseguenze. Al dissolvimento digitale dei corpi, si risponde affermando, una volta di più, la nostalgia della loro presenza, con tutto il loro peso o, meglio ancora, la loro pesantezza. E allo scintillio della perfezione tecnologica si oppone l’immagine opaca degli anni passati, dei muscoli tenuti su a fatica, per puro sacrificio di spirito, per fedeltà alle ragioni della propria “arte”. Il cinema azione deve parlare al presente. E proprio per questo si coniuga al passato, con una tenacia old style, che avrebbe assunto ben altra dimensione epica nelle mani di un Walter Hill.

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Senza voler chiamare in causa il panopticon, se c’è una prigione da cui provano a scappare i tenaci Ray Breslin e Emil Rottmayer è quella dei “tempi moderni”, dello spettacolo che si genera da solo dalla divinità increata delle tecniche, della pianificazione strategica degli spazi e dei corpi, dell’indifferenza asettica della macchina. Tutto ben esemplificato dalla regia senza sforzo né cura di Michael Håfström, tecnocrate mestierante, che si concede brevi, goffi controcanti ironici, per ritornare un attimo dopo nell’inutile correttezza delle funzioni e delle citazioni. Stallone, l’esperto d’evasioni, l’uomo che trova i buchi del sistema, è il vero regista in campo, colui che tutto controlla e che trova una soluzione per tutto, che fa convergere le linee di movimento e gli sguardi. E Schwarzenegger è il produttore esecutivo, colui che si occupa della gestione e spiana la strada all’impresa.

 

Ognuno fa il suo a modo suo. Schwarzy con la sua indifferente durezza teutonica mitigata dall’autoironia di chi ne ha viste e passate tante. Sly, con la bestia che si porta dentro da sempre, quel suo dolore oscuro (perché quando “ti prendono il cuore” o sei morto o sei condannato a vivere per sempre). E insieme fuggono dalle pagine deboli dello script e dal film, da quella prigione che non a caso si chiama tomb, la tomba. Per portare avanti il loro discorso da mercenari che non è nostalgico né reazionario o passatista. Un discorso che nasce da un’insopprimibile vocazione umanista, dalla necessità di rispondere a tutti coloro che immaginano il cinema come un passatempo, che, in realtà, tutto quel tempo passa né senza sforzo né invano. Non senza che qualcuno provi a fermarne il corso inarrestabile, rivendicando la persistenza della propria immagine e sostanza.

E restiamo in attesa di Grudge Match per avere altri segni di vita.

 

Titolo originale: Escape Plan

Regia: Michael Håfström

Interpreti: Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Jim Caviezel, Vincent D’Onofrio, Sam Neill, Faran Tahir, 50 Cent, Vinnie Jones, Amy Ryan

Origine: Usa, 2013

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 116′

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