How Do You Live? e il minimalismo promozionale dello Studio Ghibli

Il nuovo film di Miyazaki non sarà preceduto da trailer, in netto contrasto con le strategie promozionali del Ghibli. Tra i motivi c’è un’ostinazione quasi romantica a credere ancora nella sala

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How Do You Live? di Hayao Miyazaki non sarà accompagnato da alcuna campagna promozionale. O meglio, la promozione del film d’animazione più aspettato dell’anno – e forse dell’ultima decade – è rappresentata dall’attesa stessa che lo separa dall’uscita in sala. Ad ammetterlo (e non poteva essere altrimenti) è il visionario produttore Toshio Suzuki, presidente e co-fondatore dello Studio Ghibli, che oltre a costituire il ponte di raccordo tra i media e gli autori, cura da sempre le strategie comunicative dei lungometraggi ghibliani. In questo senso, si potrebbe pensare ad una delle tante trovate geniali che hanno contraddistinto le operazioni pubblicitarie del produttore – artefice del cosiddetto “metodo Ghibli” – ma la verità appare molto più semplice, quasi banale per come mutua direttamente dalle logiche promozionali su cui la Tōei ha costruito negli ultimi mesi la comunicazione (e quindi il successo) di un film – anch’esso animato, con alle spalle un grande autore – come The First Slam Dunk.

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Estasiato dalla campagna minimale con cui è stato promosso il film di Inoue, il produttore giapponese ha annunciato al pubblico della “Animage and Ghibli Exhibition” che l’uscita in sala di How Do You Live? non sarà preceduta da trailer o anticipazioni di alcun tipo sulla sinossi, oltre a quell’unica, enigmatica locandina diffusa ormai da diversi mesi. Una scelta all’apparenza drastica, ma che in continuità con l’operazione messa in campo dalla Tōei potrebbe risultare dirompente, proprio perché sembra esaltare quei due fattori essenziali per la generazione di un interesse collettivo nei confronti di un’opera culturale: la costruzione dell’attesa – con il conseguente appagamento che deriva dalla sua soddisfazione in sala – e l’enfasi sul grande nome autoriale. Per chi guarda dall’esterno, puntare su una sovrapposizione netta tra l’immagine di Miyazaki e il film sembrerebbe rappresentare una scelta strategica ideale – quando non addirittura scontata – se si vuole ottimizzare al meglio la comunicazione di un lungometraggio che ha nel nome del suo regista il sinonimo stesso di eccellenza. Ma chi ha un certa dimestichezza con la personalità di Toshio Suzuki, e in particolare con lo spirito avveniristico con cui ha promosso le opere animate del Ghibli sin dagli albori degli anni ’80, rimane spiazzato da questa sua decisione. Per come si oppone – almeno in apparenza – alla lunga storia di operazioni radicali con cui ha portato i film dello studio a superare ogni previsione di successo.

Eppure possiamo trovare una logica evidente in questo improvviso cambio di attitudine. Perché sotto la patina di strategie di marketing iper-aggressive, che hanno portato alla codificazione di numerose sinergie con importanti partner commerciali, come la collaborazione con la Japan Airlines per la promozione di Porco Rosso o la commercializzazione di un succo di frutta a tema Laputa, si è sovente nascosto uno sguardo deliberatamente antropologico, quasi sociologico per come riflette le aspettative di un pubblico sempre più contaminato con le evoluzioni socio-culturali del paese. Da questa prospettiva la decisione di Toshio Suzuki di rinunciare a diffondere qualsiasi anticipazione che possa instradare o quanto meno suggerire allo spettatore un punto di partenza da cui iniziare a “visualizzare” il senso del film, va intesa come una vera e propria dichiarazione d’intenti, dalla natura perlopiù sentimentale. In un periodo in cui il bombardamento continuo di informazioni visuali non consente al consumatore di interpretare un prodotto culturale all’infuori dei significati previsti dalla comunicazione “ufficiale”, il produttore opta qui per il colpo di teatro, per la sottrazione all’uniformità comunicativa della promozione industriale, in modo da lasciare all’oscuro il pubblico e creare attese talmente intense e nebulose da arrivare ad abbattere ogni barriera o aspettativa pregressa. Tornando così a comunicare con la sfera emozionale più recondita dello spettatore.

Non è un caso, inoltre, che Suzuki abbia tracciato la sua strategia per How Do You Live? proprio in occasione dell’esposizione dedicata alle pubblicazioni di Animage. È negli ambienti redazionali della storica rivista d’animazione che è iniziata di fatto la collaborazione con Miyazaki. Nel 1982 il produttore (al tempo ancora editore) spinse per pubblicare sulle pagine del magazine il nuovo manga del maestro – cioè Nausicaä della valle del vento – il cui adattamento cinematografico avrebbe gettato le basi per la fondazione stessa del Ghibli. Allora ecco che la scelta di coniugare qui il passato con il presente, appare quasi come un ritorno alle origini, quando con pochi mezzi i due colleghi-visionari erano riusciti a creare un brand dal nulla, lontani dalle pieghe (ma anche le piaghe) di un’industria intenta a fagocitare ogni afflato d’indipendenza pur di cavalcare l’onda lunga del successo planetario che gli anime stavano iniziando, inesorabilmente, a conoscere. Quello a cui Suzuki potrebbe perciò tendere mantenendo all’oscuro il pubblico è proprio questo: ritrovare quel senso di magia e incanto che il Ghibli, e in particolare Miyazaki, ha sempre restituito ai suoi fedeli sostenitori. Tempestandoli con immagini e visioni mai viste. Per poi avvolgerli in quell’estasi che solo la sala, in quanto teatro ultimo di sogni, può ancora garantire.

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