Il male non esiste, di Ryûsuke Hamaguchi

Il cineasta giapponese si abbandona a un flusso, alla ricerca di un cinema che vive soprattutto di movimenti. E, per contrappunto, di pause, silenzi, momenti di stasi. Un film magico e bellissimo.

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Per fare tutto ci vuole un fiore

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“Occorre equilibrio”, insiste Takumi, con pacata consapevolezza. Del resto nel significato del suo nome è implicita un’inclinazione a far bene le cose, con cura e attenzione. Vivere nella natura significa rispettarne i ritmi e i cicli vitali, ma anche le segrete forze, quelle che possono liberarsi e ribellarsi da un momento all’altro. Ed è ciò che, con fermezza, cercano di ribadire gli abitanti del piccolo villaggio di Mizubiki, durante l’assemblea che discute il progetto di costruzione di un glamping, un campeggio di lusso nelle campagne intorno al villaggio. Dare carta bianca alle ragioni del denaro significa non tener conto dell’esigenze dell’ambiente e, in sostanza, della vita. Eppure, in una prospettiva ideale, l’economia non dovrebbe essere mai la prima delle ragioni. “I soldi non mi servono”, risponde laconico Takumi, quando gli offrono il lavoro di custode per la nuova struttura. Ribadendo la priorità: chi vive a monte deve essere responsabile per coloro che stanno a valle.

Ma equilibrio vale a dire “armonia”. È interessante che il nuovo film di Ryusuke Hamaguchi nasca dal progetto di un accompagnamento visivo alle esibizioni dal vivo della musicista Eiko Ishibashi. Un materiale originale che è poi stato progressivamente esteso e articolato in un lungometraggio. Dunque, è scritto nella natura del film il riferimento diretto a una partitura musicale, il nascere e l’evolversi sulla base di un collegamento stretto tra immagini, pause e suoni. Il che lo pone, al di là delle differenze, in piena continuità con una delle tracce fondamentali di Drive My Car, dove “le parole vengono utilizzate soprattutto come forma pura di struttura ritmica, flusso sonoro che si fa tappeto timbrico alle immagini”. Ma tutto ciò dà indicazioni chiare anche sulle modalità di visione e di ricezione del film (semmai possa esistere una maniera corretta). Che non può essere compreso solo razionalmente, come una struttura geometrica di composizione narrativa e di significati, impliciti ed espliciti, ma va vissuto innanzitutto come un’esperienza immersiva, sensoriale ed emotiva. Alla netta definizione dei concetti e alla spietata chiarezza logica subentrano la mutevole gradazione dei toni, la densità inestricabile dell’impasto cromatico e sonoro, la complessità delle implicazioni. E ciò comporta anche la necessità di fare i conti con le zone d’ombra, di accettare i punti oscuri o comunque poco chiari, di rinunciare alla nitida distinzione degli opposti per ammetterne la confusione.

Hamaguchi arriva a quel punto in cui il pensiero si dissolve nella percezione e il sentimento si fa sensazione. Ed è una trasformazione dallo stato solido al liquido. Sarà per questo che l’acqua è la figura fondamentale di Il male non esiste, ciò da cui tutto nasce e ciò che va salvaguardato nel miglior modo possibile. Al punto che le stesse immagini del film sembrano farsi liquide. A cominciare dalla sequenza iniziale, quella lunga carrellata che riprende i rami e le chiome degli alberi dal basso verso l’alto, perpendicolarmente. E che suggerisce la sensazione di qualcosa che scorre, come una lenta pioggia che bagna lo schermo. Finché, come ogni corso d’acqua, il regime sa farsi più impetuoso, come in quei camera car che, dopo, aver disegnato panoramiche, precipitano in vorticose carrellate a precedere, come fossero rapide, e che, d’altra parte, sembrano deformare lo spazio fino a proiettarlo nella sfera d’attrazione di qualche buco nero.

Ma più in generale, Hamaguchi si abbandona a un flusso, alla ricerca di un cinema che vive soprattutto di movimenti, ora delicati e leggeri, ora più inconsulti e concitati. E, per contrappunto, di pause, silenzi, momenti di stasi. Secondo il ritmo della vita. E sì, può anche soffermarsi a riconoscere ed elencare piante, fiori, alberi, germogli, piume d’uccello, a indicare il punto di riferimento di un simbolo, che sia una cosa o un nome. È comunque evidente che nel flusso, le cose non sono più chiaramente leggibili e distinguibili. Sarà per questo che molto è tenuto nascosto e appartiene al regno dell’invisibile. Per ellissi (non sapremo mai che fine ha fatto la compagna di Takumi e mamma di Hana, che scorgiamo da alcune foto). O per fuoricampo: i rumori che non hanno corpo (da dove vengono quegli spari?), le inquadrature che tengono celato il punto di osservazione, le scene che giocano di apparizioni e sparizioni. Come in quell’altro superbo movimento di macchina che segue Takumi e lo perde tra il fitto degli arbusti, per poi ritrovarlo poco dopo, con Hana sulle spalle. Comparsa quasi per magia, come uno spirito del bosco. Hana non vuol dire forse “fiore”?

Ma se tutto è in movimento, in divenire, è anche evidente perché il male non esiste. Almeno allo stato naturale, non è l’altro termine di una dualità di principi distinti. Il nero si mescola al bianco nel cuore stesso delle cose. A meno che non sia strappato a forza, in un gesto di violenza gratuita, in una fucilata o nella profanazione indebita di un paesaggio che non ci appartiene. In fondo, è questa l’idea fondamentale di Il male non esiste. Il fatto che “in un certo senso, siamo tutti estranei”, come dice Takumi. Chi più o chi meno. Chi vede nella natura un oggetto o chi un’ingenua e comunque turistica prospettiva di fuga, sarà costretto a farne i conti. Ma anche chi riesce a stabilire una connessione più intima, a trattenere la parola e il respiro, a fermarsi per non intralciare il movimento delle cose. L’idea che l’uomo sia il centro è una semplificazione arrogante. Può solo stare a lato. Oppure sparire nell’indistinto.

 

Gran Premio della Giuria all’80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia

 

Titolo originale: Aku wa sonzai shinai
Titolo internazionale: Evil Does Not Exist
Regia: Ryûsuke Hamaguchi
Interpreti: Hitoshi Omika, Ryo Nishikawa, Ryuji Kosaka, Ayaka Shibutani
Distribuzione: Tucker Film e Teodora Film
Durata: 106′
Origine: Giappone, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
3.33 (24 voti)
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