L’estate di Cléo, di Marie Amachoukeli

Un film semiautobiografico sul rapporto tra una bambina e una tata con una prima parte travolgente e una seconda che, nell’osservazione, non perde mai la verità dell’infanzia. Emozionante.

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La morte, la nascita. Scorre il ciclo della vita in L’estate di Cléo tra il decesso della madre di Gloria e l’arrivo del nipote. Lei è stata sempre la tata di Cléo, una bambina di sei anni francese che ha perso la madre sin da piccola. Il loro legame è speciale ma ora sono costrette a separarsi; la donna deve infatti tornare dai suoi familiari a Capo Verde per sempre ma promette a Cléo di rivedersi ancora per passare un’ultima estate insieme.

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C’è anche una morte e una nascita in una separazione. È quello che avviene tra la tata e la bambina quando si salutano per l’ultima volta. Un pezzo di vita si perde per sempre, un’altra sta per cominciare da zero. Marie Amachoukeli, al primo lungometraggio da sola dopo aver co-diretto Party Girl con Claire Burger e Samuel Theis che ha vinto la Camera d’or al Festival di Cannes del 2014, firma un film semiautobiografico che si ispira alla custode portoghese del condominio dove ha vissuto da bambina. Il rapporto tra Cléo e Gloria è fatto di gesti, sguardi, complicità evidenti (il giuramento “Sputa o muori!”) o nascoste, catturati con primissimi piani in cui riesce a filmare con una naturalezza assoluta quello che stanno provando le due protagoniste.

La parte ambientata in Francia ha un impatto travolgente proprio nel mondo in cui circoscrive le due protagoniste rispetto al resto. Il film sembra solo una parte della loro vita. C’è un prima che non si vede ma del quale si ha l’impressione di avvertire l’intensità e la storia del loro rapporto. Durante la vacanza insieme a Capo Verde entrano in scena altre figure, soprattutto i due figli di Gloria, ma anche una storia legata a difficoltà economiche e la costruzione di un hotel non finito. Amachoukeli crea prima un’illusione documentaristica per come ogni inquadratura sembra filmata all’istante, come nel momento in cui Cléo cade dal parco-giochi oppure è a scuola. Sotto questo aspetto si ritrova quell’immediatezza discreta ma complice di Philibert nella scuola di Essere e avere. Poi a Capo Verde la regista lavora sul paesaggio: la pesca, i tuffi dall’alto, i conflitti della bambina con il neonato. C’è un maggiore lavoro di scrittura che però non sposta il punto di vista principale: lo sguardo di Cléo. La cineasta si mette sempre alla sua altezza. Non contano le parole ma soprattutto le sue reazioni, quello che sente, il rapporto con gli oggetti. Per questo la naturalezza di Louise Mauroy-Panzani è sorprendente proprio perché si avverte all’istante la componente sensoriale. La ragazzina ha gli occhiali. La vista è solo una parte del suo sguardo sul  mondo che invece arricchisce con l’udito e il tatto. Ogni contatto tra i personaggi è un abbraccio, come la scena in cui Cléo balla col padre mettendo i piedi sopra i suoi. Per questo trova subito la strada giusta: mostra la verità dell’infanzia con un calore contagioso evidenziando le ombre dei dolori e dei piccoli traumi. Però resta un film pieno di luce, la stessa che è nei colori, evidenti negli inserti animati in cui i suoni della loro vita potrebbero essere quelli – veri e/o immaginati – di una fiaba.

Titolo originale: Àma Gloria
Regia: Marie Amachoukeli
Interpreti: Louise Mauroy-Panzani, Ilça Moreno Zego, Abnara Gomes Varela, Fredy Gomes Tavares, Arnaud Rebotini, Domingos Borges Almeida, Marc Lafont, Bastien Ehouzan, Delfi Rodrigues Dos Sanches, Manuel José Sovares, Denis Ortega Acevedo
Distribuzione: Arthouse di I Wonder Pictures
Durata: 84′
Origine: Francia, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2
Sending
Il voto dei lettori
4 (3 voti)
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