M3gan, di Gerard Johnstone

Quasi un vertiginoso film “per famiglie” made in James Wan, che tra Columbus e Dante prova a conquistare altri immaginari. Peccato non riesca a liberarsi dal retrogusto di progetto laboratoriale

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È, come al solito, una questione di scelte.

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M3gan, ultimo film prodotto da James Wan, si apre con un’escrescenza mediale tutta “dentro” il racconto. Si tratta di uno spot di un giocattolo tecnologico, un robot che è anche un animaletto da compagnia per i bambini, sottomesso alla solita app di controllo e, ovvio, imprescindibilmente social. Su questo segmento, sopratutto sul modo in cui attraversa e ripensa l’inquietudine dei contenuti web virali sullo stile di Funny Or Die si potrebbe già dire molto, ma la questione è un’altra. Il punto, semmai, è che l’atteso exploit orrorifico (quasi tradizionale in apertura a film del genere) arriva solo dopo questo momento “meta” e non smette di mischiare le carte.  Perché lo spavento lascia spazio allo straniamento e, perché no, anche ad un inedito retrogusto tragico e realistico, come a dire che il tempo della minaccia soprannaturale è finito.

Il cinema di James Wan è cambiato. O forse no. Forse si è solo svelato. Se ne parlava già ai tempi del franchise di The Conjuring, che con il tempo ha abbracciato con sempre più evidenza la sua anima da blockbuster massimalista, ma il tassello centrale del processo di mutazione è forse il clamoroso Malignant, horror a cento all’ora evidentemente contemporaneo per come ragiona di corpi e digitale e allo stesso tempo straordinariamente teorico quando prova a guardare dall’esterno, giocosamente, alle dinamiche del genere.

Perché se c’è in effetti qualcosa che Malignant tradisce è proprio il desiderio di James Wan di trattare l’horro come un viatico per esplorare altre possibilità narrative, altri spazi, altre estetiche tutte da conquistare.

M3gan non può che essere alzare la posta di questo discorso tanto esplorativo quanto predatorio a partire, ovvio, dall’impalcatura che lo sostiene. Perché il film è il primo progetto prodotto dalla Atomic Monster di Wan con la Blumhouse. Come a riconoscere quanto il cinema contemporaneo sia sempre più un affare di produttori esecutivi, come, sopratutto, per aumentare il suo peso specifico alleandosi con il Re Mida Jason Blum.

M3gan è dunque un classico progetto della factory di Wan. Il soggetto è scritto da lui, Akela Cooper, già autrice di Malignant si occupa dello script, mentre in regia c’è il mestierante Gerard Johnstone. È la configurazione di un qualunque horror “di seconda linea” à la The Nun, dunque, eppure la storia di questa bambola robot che un ingegnere costruisce per far compagnia alla nipote rimasta orfana e che tuttavia prenderà il suo ruolo di tutrice così alla lettera da diventare una minaccia, si muove seguendo un affascinante ritmo in controtempo.

Perché l’elemento horror è veloce, aggressivo e riesce ad assestare inattese zampate, come nella sequenza in cui M3gan fronteggia un bullo che tormenta la sua protetta Katie, eppure il racconto sembra dirci che il punto del discorso è da tutt’altra parte.

A spiccare davvero sono in effetti tutti quei momenti in cui M3gan lascia da parte l’orrore e riscopre un inedito e tuttavia fortissimo sense of wonder, come nella sequenza del primo incontro tra M3gan e la piccola Katy, oppure quando il robot promette alla bambina di conservare per lei il ricordo dei suoi genitori.

È inutile girarci attorno: M3gan è il primo, assurdo eppure radicale “film per famiglie” made in James Wan. E allora, da un certo momento in poi, è tutta questione di esplorazione e di adattamento, a partire proprio da Johnstone, che asseconda le suggestioni del soggetto muovendosi con lo stesso disordinato entusiasmo che orientava Malignant. È ambizioso, curioso, ma ha sopratutto coraggio, almeno in apparenza. Così, quando cerca riferimenti a cui appoggiarsi guarda a Chris Columbus più che a Mancini e alla sua Chucky, non solo per il modo in cui ragiona sul meraviglioso ma anche per come rimarca le linee di una morale che pian piano si fa strada tra le immagini.

Proprio quando prova a sviluppare questa dimensione pedagogica, M3gan tende però ad arrancare, a perdere molta della sua accelerazione, a soppesare ogni spunto finendo bloccato dall’insicurezza. Così l’intelligente cinismo con cui lo script racconta le paranoie della genitorialità contemporanea scade nel didascalismo; così la curiosità di Johnstone perde qualche giro ed il regista tende a distrarsi, rifugiandosi in soluzioni visive più canoniche e forse banali. Torna in gioco davvero solo nel confronto finale ma il suo è indubbiamente un colpo di reni formidabile, in bilico tra Joe Dante e Shawn Levy. Il film, probabilmente è salvo, peccato solo che, malgrado gli evidenti sforzi, non riesca a liberarsi dal retrogusto tipico dei progetti laboratoriali, quelli giocosi, consapevoli ma forse troppo chiusi in sé stessi per risultare davvero d’impatto. Ma Wan, è evidente, ha comunque conquistato un nuovo spazio nel contesto contemporaneo. Forse, davvero, in prospettiva questa è l’unica cosa che conta.

 

Titolo originale: id.
Regia: Gerard Johnstone
Interpreti: Allison Williams, Violet McGraw, Amie Donald, Ronny Chieng, Arlo Green, Brian Jordan Alvarez, Jen Van Epps
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 102′
Origine:  USA, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
2.5 (22 voti)
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