Mes petites amoureuses. I miei primi piccoli amori, di Jean Eustache

Un racconto semiautobiografico per una delicata meditazione sulle ferite non rimarginabili del coming of age che assorbe sia la leggerezza di Truffaut che il decadentismo di Malle. Da domani in sala.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

“I film che faccio sono autobiografici come solo la finzione può essere.”

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 Jean Eustache

Tu, sanguinosa infanzia. Parafrasando il titolo della celebre raccolta di racconti di Michele Mari, potremmo dire Tu, sanguinosa pre-adolescenza. Dopo il grande successo di La maman et la putain, Jean Eustache cambia visibilmente tono e direzione in un percorso a rebours che lo porta direttamente nei luoghi della sua prima giovinezza. Il racconto semiautobiografico è in realtà lo spunto per una delicata meditazione sulle ferite non rimarginabili del coming of age. Daniel (Martin Loeb) è un dodicenne che vive con la nonna (Jacqueline Dufranne) a Pessac, vicino Bordeaux: è un bravo studente e sta per entrare al college, legge i fumetti, cerca di rifare i trucchi del mangiatore di spade del circo, va spesso al cinema, è introverso ed è incuriosito dall’universo femminile verso il quale abbozza i primi timidi approcci. Quando arriva improvvisamente la madre (Ingrid Caven) a prelevarlo per farlo lavorare come aiuto meccanico a Narbonne, il mondo di Daniel crolla e si tramuta in una malinconia che è insieme mancanza della figura paterna e impossibilità a ricollocarsi all’interno del nuovo ambiente.

L’educazione sentimentale di Daniel subisce una brusca accelerazione per l’intervento del cinismo degli adulti: emblematico è il discorso sull’ insegnamento dell’alfabeto nel cameo di Maurice Pialat. Il film inizia con un caldo quadretto familiare e con la canzone di Trenet Douce France che detta il tempo della leggerezza dell’essere all’interno di un microcosmo affettuoso e intimo. Jean Eustache guarda a Zero in condotta, Giochi proibiti e L’enfance nue e assorbe sia la leggerezza di Truffaut  che il decadentismo di Malle. Propone un personaggio originale che ha un rapporto conflittuale con il sesso ma che non trova punti di riferimento nel momento più delicato della sua vita: interroga gli altri compagni, immagina un rapporto a tre sul treno, tampina le ragazze per strada, le bacia al cinema, si appoggia ad una di esse durante la prima comunione, ne palpa un’altra mentre è in atto un coro di chierichetti. Se in La maman et la putain il linguaggio era disinibito e logorroico, qui Jean Eustache fa un lavoro di prosciugamento fino ad arrivare nella seconda parte a un minimalismo di stampo ‘bressoniano’. La brevità dei dialoghi e il rigore dell’immagine portano in sé il senso di perdita dell’innocenza che si amplifica ad ogni incontro con le figure di autorità. Eustache trasferisce in Daniel la consapevolezza che quella ferita aperta nell’infanzia sanguina ancora e l’emorragia non sembra essere fermata da questi piccoli amori. Quando al cinema Daniel cerca di imitare Ava Gardner in Pandora, baciando una ragazza che sta una fila avanti a lui, sta riproponendo nel reale un meccanismo di finzione. Rovesciando le parti, l’atto d’amore si trasforma in atto meccanico, quasi una iniziazione obbligatoria per entrare nel mondo degli adulti.

Eustache, per raccontare il disagio di questa anima in pena, si affida alle sapienti mani di Néstor Almendros che illumina la prima parte della storia e poi pian piano getta ombre sempre più lunghe fino ad arrivare allo splendido simbolico finale nella foresta. Ma la scena più riuscita tecnicamente è quella dei ragazzi in fila fuori dal bar seduti pigramente come vitelloni che si animano improvvisamente appena compaiono due ragazze. Eustache e Almendros si inventano una carrellata laterale in cui vediamo riflesse nello specchio del ristorante le giovani che avanzano e contemporaneamente osserviamo sfilare le espressioni di Daniel e dei suoi compagni di merende. Eustache ama il pedinamento e si affida al potere dello sguardo: Daniel attraverso il vetro della sua officina spia una ragazza che si concede a diversi uomini ed ella stessa desidera essere osservata. In questo gioco indiretto di sguardi sta tutta l’ambivalenza di Daniel che da un lato vorrebbe restare nella campana di vetro della sua infanzia di mosca cieca e latte caldo con biscotti, e dall’altro vuole tuffarsi nella sensualità di una relazione fatta di baci, di strusciamenti, di mani che esplorano corpi.

Presentato al Festival Internazionale di Mosca, Mes petites amoureuses non ottenne il successo sperato e fu l’inizio della parabola discendente di Jean Eustache. I piccoli amori di Pessac rappresentano il paradiso perduto e per citare Cesare Pavese “niente è più inabitabile di un posto dove siamo stati felici.” La sanguinosa giovinezza di Jean Eustache soffre di una continua emorragia di ricordi. Ava Gardner in Pandora annuncia una profezia rivolta a James Mason (“Moriremo presto”) e la finzione del film si trasformerà presto in realtà.

 

Titolo originale: Mes petites amoureuses
Regia: Jean Eustache
Interpreti: Martin Loeb, Ingrid Caven, Dionys Mascolo, Jacqueline Dufranne, Marie-Paule Fernandez, Henri Martinez, Jean-Noël Picq, Maurice Pialat, Pierre Edelman, Caroline Loeb
Distribuzione: I Wonder Classics
Durata: 123′
Origine: Francia, 1974

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
4.67 (3 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array