Sira, di Apolline Traoré

Un revenge movie nel deserto con una protagonista tenace e letale come una Beatrix Kiddo africana. Premio del pubblico di Panorama alla Berlinale 73, ora a Palermo per il festival Altre Rive

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Sira (Nafissatou Cissé), membro di una tribù nomade Fulani, si trova in viaggio a dorso di cammello insieme alla sua famiglia attraverso il deserto nella zona del Sahel, in Burkina Faso. Questa tribù musulmana è diretta verso il villaggio dove Sira sposerà un contadino cristiano, ma lungo il tragitto la tribù viene attaccata da un gruppo di terroristi islamisti che stermina gli uomini e decide di violentare e abbandonare Sira nel bel mezzo del deserto. Da qui la storia si sviluppa su due binari, quello principale che vede Sira lottare per la sua sopravvivenza meditando vendetta, e uno secondario in cui il promesso sposo tenta di rintracciarla.

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Una storia di resilienza, per dirla con le parole della regista burkinabé Apolline Traorè, vincitrice del Premio del pubblico nella sezione Panorama della Berlinale 2023, che lo ha presentato ieri a Palermo per il festival Altre Rive. Tra il thriller e il western, Sira ha tutti gli elementi narrativi classici del genere: l’eroina ferita, il nemico da sconfiggere e il paesaggio come terzo protagonista. La struttura del film potrebbe essere letta come quella di un revenge movie (o rape and revenge), e la protagonista come una Beatrix Kiddo africana, eterna promessa sposa tenace e letale se messa nella condizione di doversi vendicare. L’intento della regista è chiaramente quello di raccontare la propria terra di origine, un paese in una situazione disperata dove il terrore islamista è molto radicato e la guerra civile dietro l’angolo.

Complice l’ambientazione subsahariana e i costumi tipici del luogo, Sira appare fuori dal tempo, soprattutto agli occhi di un occidentale. Sono alcuni elementi a chiarire la contemporaneità della vicenda, come la discussione su Sadio Mané, giocatore del Bayern Monaco, oppure la bandiera dell’ISIS che campeggia nella tenda del capo dei terroristi. Il film affronta tematiche che rispecchiano contrasti molto accesi in Burkina Faso, come lo scontro tra musulmani e cristiani, fulcro delle lotte intestine al paese, e soprattutto la condizione femminile, tema evidentemente molto caro alla regista. Fin dal primo momento notiamo una forte sorellanza tra Sira e le altre donne della tribù, come un fronte comune contro il dominio maschile che subiscono quotidianamente. La solidarietà femminile è anche l’unica forma di resistenza che resta al gruppo di schiave sessuali prigioniere nell’accampamento dei terroristi, tutte con indosso un casto burqa nero, al contrario di Sira che indossa un vestito colorato.

L’interpretazione della protagonista di Nafissatou Cissé è tutto sommato convincente, nel ruolo di un personaggio che si rivela abbastanza sorprendentemente una soldatessa addestrata alla guerra, capace di resistere per un periodo imprecisato nel deserto senza una goccia d’acqua, e poi nascosta per mesi tra delle rocce senza mai essere notata se non da un uomo che si rivela essere un infiltrato. Inoltre, la scelta di voler ampliare il coro dei personaggi (la ricerca del fidanzato, il villaggio) senza concentrarsi solo su Sira non aiuta a mantenere il respiro del film e il registro scelto dall’autrice per farci entrare in contatto con una realtà molto diversa dalla nostra ed esplorarne drammi e controversie.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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