The Miracle Club, di Thaddeus O’Sullivan

Come tanto cinema irlandese, lega i disagi e i traumi dei personaggi ai dogmi ultraconservatori della nazione, ma risolve ogni questione con un approccio approssimativo e inspiegabilmente edificante

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Uno degli elementi cardine del cinema irlandese, sia del passato che del presente, è l’idea di comunità, la necessità cioè di radicare le storie e i trascorsi dei personaggi in un orizzonte socio-culturale ben preciso, a cui si ancorano tutte le crisi e le personalità di chi vive al suo interno. Un motivo di questo fenomeno è da ritrovare non tanto nella volontà da parte dei cineasti (locali o britannici) di osservare passivamente l’Irlanda quale culla della tradizione o dell’ultraconservatorismo, ma nella lunga Storia (quella con la S maiuscola) che lega l’orizzonte cattolico del paese alle liturgie quotidiane dei cittadini. In questo senso, interpretare gli effetti che i dettami religiosi hanno sulla vita ordinaria degli irlandesi non è di certo facile, e il modo più semplice e immediato che i registi hanno per comunicarlo al pubblico è proprio attraverso la costruzione di un reticolo comunitario fatto di consuetudini, regole reazionarie e logiche ferree. Come accade anche in questo The Miracle Club.

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Non è un caso che in The Miracle Club tutte le crisi, i rimpianti e i dolori (passati e presenti) delle quattro protagoniste abbiano la loro origine nelle atmosfere ultracattoliche – e quindi repressive – di un piccola comunità irlandese di fine anni ’60. Ci troviamo infatti nei sobborghi periferici di Dublino: qui Lily (Maggie Smith) Eileen (Kathy Bates) e Dolly (Agnes O’Casey) appartengono sì a generazioni differenti, ma sono accomunate dallo stesso sogno, cioè quello di andare nel breve futuro a Lourdes per affrancarsi dai disagi che le affliggono. Un giorno vincono un pellegrinaggio alla città sacra, ma durante il viaggio verranno accompagnate da una loro vecchia conoscenza, Chrissie (Laura Linney), ritornata ora a Dublino dopo un lungo esilio negli Stati Uniti. Il suo ritorno (ri)apre così ferite mai realmente sigillate, che solo il percorso riconciliatorio verso Lourdes potrà in parte rimarginare.

Quel che rende coerente il film di O’Sullivan, sia nei discorsi che propone, sia rispetto a molto cinema irlandese, è proprio questa tendenza a legare i disagi dei personaggi agli effetti repressivi delle comunità in cui (soprav)vivono. La religione non è mai apertamente verbalizzata, ma l’esilio di Chrissie, così come i traumi di Lily ed Eileen, si generano proprio a causa di dogmi ultracattolici percepiti come oppressivi e diabolicamente disumani. Il problema, però, è come The Miracle Club risolve queste questioni, tanto che il più delle volte adotta un approccio approssimativo, inspiegabilmente edificante, che non solo depotenzia tutti i discorsi di partenza, ma propone anche un disservizio a chi ha esperito quelle medesime situazioni. Quasi a voler affermare che i traumi di una vita possano essere risolti in un istante, senza che questi lascino tracce o conseguenze su coloro che li hanno dovuti portare a lungo sulle spalle.

Titolo originale: id.
Regia: Thaddeus O’Sullivan
Interpreti: Maggie Smith, Kathy Bates, Laura Linney, Agnes O’Casey, Stephen Rea, Mark O’Halloran, Eric D. Smith, Mark McKenna, Niall Buggy, Hazel Doupe
Distribuzione: Europictures
Durata: 90′
Origine: Irlanda, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
2 (1 voto)
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