Tra la sala e la piattaforma – l’accordo tra Sony e Netflix nel dettaglio
Un recap su rischi e possibilità dell’accordo multimilionario che vedrà i film Sony distribuiti su Netflix dal 2022 dopo il passaggio in sala. Tra algoritmi, caccia a nuove IP e visione tradizionale
Dopo essere uscita malconcia dalle prime schermaglie contro avversari forse più lungimiranti come Disney e Warner, Netflix ha provato ad assestare nei giorni scorsi un nuovo colpo utile a ridisegnare la filiera della distribuzione e a ribaltare lo status quo della Streaming War.
L’azienda di Los Gatos, che solo pochi giorni fa ha annunciato l’acquisto di un IP fortissima come quella di Knives Out, ha infatti stretto un accordo con Sony per ospitare in esclusiva sulla piattaforma film futuri prodotti dalla major come Venom: Let There Be Carnage, Morbius, Uncharted o i nuovi capitoli di saghe come Bad Boys o Jumanji per diciotto mesi una volta che si sarà chiusa la finestra di distribuzione in sala.
Alcuni dettagli della partnership rimangono ignoti, ma si ipotizza che Netflix abbia investito diverse centinaia di milioni di dollari per garantirsi un accordo al momento valido dal 2022 per il solo territorio americano e forse della durata di cinque anni.
Il contratto tra Sony e Netflix non è solo una scelta ottimisticamente in controtendenza, che, pur ripensando ancora il sistema delle finestre di distribuzione, continua a considerare la sala come lo spazio primario dell’esperienza cinematografica in un momento storico in cui la fruizione si è spostata sulle piattaforme, ma è soprattutto un ambiguo do ut des tra le parti.
Sony è infatti una sorta di pecora nera del cinema dei franchise recente, in grado di creare prodotti di grande impatto al box office (pensiamo alla serie di Jump Street o quella di Insidious), ma raramente capace di lavorare su progetti duraturi in termini di fidelizzazione (fatto salvo, forse, per Into The Spider-Verse).
La scelta della major è dunque lungimirante in questo senso: Sony non ha forse né i capitali né l’expertise per creare una piattaforma streaming proprietaria, in cui allocare tutta la sua library comprensiva di progetti esclusivi e preferisce appoggiarsi ad un’infrastruttura come Netflix, che non è solo ben rodata ma che ha fatto della fidelizzazione dello spettatore uno dei suoi core business.
Rileggendo certi dettagli dell’accordo dal punto di vista del colosso dello streaming, la situazione si fa, tuttavia, ancora più ambigua. È difficile comprendere se ci si trova davanti ad un canonico accordo tra players o ad un’azione quasi parassitaria di una delle due parti sull’altra si fanno indistinguibili.
In questo momento, come nota anche Deadline, Netflix ha soprattutto bisogno di rassicurare gli investitori dopo le coraggiose mosse dei competitor ma, forse più di qualsiasi altra cosa, ha bisogno di film, meglio se nuovi e in grado di generare franchise.
La sua aggressiva strategia dei settanta progetti originali distribuiti in un anno va ovviamente in questa direzione, ma non stupisce che l’accordo con Sony sia, in realtà, particolarmente ricco di opzioni “paracadute” che fanno capo a questa particolare hidden agenda del colosso dello streaming. Non solo, oltre ai titoli di prossima uscita, finirà in piattaforma anche tutta la library di film del passato della major, ma il colosso dello streaming avrà una sorta di diritto di prelazione per poter distribuire i futuri Originals di Sony, quei prodotti, cioè, che più di altri hanno la possibilità di sviluppare franchise.
Da questo punto di vista i rischi e le possibilità sono in effetti molteplici. Da un lato Netflix potrebbe sfruttare gli originali Sony per trovare quell’IP che sta cercando da anni, utile a garantirgli anche solo un franchise in grado di battersi ad armi pari con quelli di Disney o Warner, dall’altro è indubbio che l’azienda di Los Gatos si stia affidando ad una realtà che, dati i precedenti, non sembra in grado di poter sostenere un approccio produttivo così ambizioso.
Non sarebbe troppo assurdo, lanciandosi per un attimo in un ragionamento totalmente ipotetico, se, alla fine del contratto, Netflix rilevasse quegli stessi Originals per poterne gestire lo sviluppo (rischi compresi) in prima persona.
A raccontarci dei termini sghembi dell’accordo basterebbe tuttavia forse limitarsi a riflettere su quanto, non trovandosi su una piattaforma gestita da Sony, i film della major dovrebbero sottostare ad un algoritmo non proprietario e, dunque, correre il rischio di subire gli umori anodini di Netflix che magari, a tratti, potrebbe avere più interesse a promuovere una sua esclusiva che un film legato a un third party.
Quello tra Netflix e Sony è, dunque, un accordo fuori dal tempo, che probabilmente aiuterà un’azienda a sopravvivere alla pandemia, ma che smuoverà poco o nulla all’interno della Streaming War, contribuendo tuttavia a raccontarne molti dei suoi lati oscuri.