Transformers. Il risveglio, di Steven Caple jr.

Il film sembra davvero ricreare lo sguardo di Bay, la scintilla del Bayhem, ma sottotraccia sembra anche ammettere che quel cinema, quelle immagini, se non dopate, sono ormai irraggiungibili.

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Quello di Steven Caple jr. è, ancora, un cinema di padri che diventano fantasmi. Lo raccontavamo benissimo parlando del suo Creed II, ma con Transformers – Il risveglio, la questione pare essere ancora lì, non solo irrisolta ma anche amplificata.

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Sette anni dopo le vicende di Bumblebee gli Autobot sono costretti a tornare operativi, ad allearsi con una nuova coppia di umani ma anche con la fazione esiliata dei Maximals per contrastare la venuta di Unicron il divora pianeti, che ha eletto la Terra a sua nuova preda. Ma la nuova nemesi è davvero solo un’entità malvagia o è un altro fantasma, un ectoplasma fuori misura che pare provenire da uno spazio residuale in cui il Bayhem non è mai finito? Dopotutto entra in scena come Cybertron nella straordinaria sequenza centrale di Transformers 3.

Pare provvidenziale che Caple jr. prenda in mano un franchise in cui la questione della paternità creativa è centrale. Perché Bay lascia la nave al quinto film, all’improvviso, quasi a dire che più oltre di così, in termini di linguaggio e visione, non si può andare. Passa dunque a produrre i successivi capitoli (questo compreso) ed il reboot Bumblebee probabilmente è risultato un film riuscito, anche perché ha scelto di percorrere altre strade, più leggibili, di non ragionare su quel discorso in sospeso. Era solo questione di tempo, però, prima che il fantasma di quel cinema tornasse a infestare quelle immagini. Dov’è finito quello sguardo? Come si fa a tornarci?

Transformers – Il risveglio è lucidissimo ad entrare a gamba tesa nella questione. Caple jr. cerca fin dall’inizio, di infondere nel film quel respiro “sintetico” che ha portato la saga di Bay a incamerare e archiviare decine di immagini, di idee di cinema differenti senza soluzione di continuità. Così tutta la prima parte pare tornare a quel bestiario immaginifico Bayhano che veniva evocato prontamente  qui, a Christine, a Carpenter, a Reitman e lo aggiorna attraverso una sensibilità tutta Black, soffermandosi su una storia di periferia e piccola criminalità che dialoga tanto con il crudo cinema di Singleton e di Hill quanto con le comedy anni ’80 e ’90 di Landis. Ed è indubbio che riesca a piazzare più di un colpo, anche solo per il modo in cui si sofferma sulle sfumature del racconto svelando, ad esempio, quante suggestioni da creature horror ci siano nel franchise, come nella sequenza dell’inseguimento nel museo.

Ma è un processo lungo. Bisogna reimparare a guardare lo spazio come Bay, meglio ancora bisogna che Bay insegni agli altri come confrontarsi con uno spazio paradossale, dominato dai dati eppure mai così concreto, fisico.

Forse anche per questo Transformers – Il risveglio, è puntellato di occasioni in cui la vista umana manca, tra il raggio dell’artefatto robotico che trasmette un segnale visibile solo agli alieni e Unicron, ancora, “visibile” solo tramite la sua voce. E allora il film di Caple jr. pare una terapia per far riavvicinare l’occhio umano al Bayhem, un approccio per gradi che, emblematicamente, mitiga il linguaggio del regista losangelino attraverso un registro da film action che pare un ritorno fatto e finito all’immaginario di quei Bruckheimer Movie pietra di volta del cinema Bayhano.

E probabilmente anche per questo Transformers – Il risveglio è, insieme a Dark Of The Moon, il capitolo più a misura d’uomo della saga, quasi a voler mettere di nuovo l’umano al centro del villaggio, a ragionare di nuovo sui corpi cibernetici in rapporto alla carne, a ricostruire non solo le proporzioni tra le parti ma anche il rapporto sentimentale tra umanità e alieni umanoidi; e tra l’altro non è un caso che i due protagonisti siano, per la prima volta, bizzosi, incapaci di capire fino in fondo le ragioni dei robot, come se si trovassero anche al di là di un cinema, di un modo di ragionare sulle immagini, forse irraggiungibile.

Eppure, improvvisamente, qualcosa accade, una scintilla di quello sguardo esplode in un ultimo atto in cui Caple Jr. guarda in faccia la bestia e prova a tornare a quei volumi, a quel modo di muoversi nello spazio, addirittura a inseguire i protagonisti tra quei tubi e quelle scanalature che sono un’altra delle fondamenta immaginifiche del cinema di Bay (ancora, se ne parlava qui)

Certo rimane, a margine, la perplessità di un processo che, pur indubbiamente riuscito, pare buggato (forse non a caso il protagonista, il giovane Noah, è un ex hacker militare?), di uno sguardo che torna a casa ma che forse lo fa truccando le carte. “Veniamo al contempo dal passato e dal futuro”, dice la Maximals Airazor, come a svelare un rapporto col tempo che caratterizza anche lo sguardo del regista, che guarda al passato di Bay ma immagina un futuro transumanista, dominato da robot e umani amplificati dalla tecnologia cyborg. Che è uno spunto che intercetta le maggiori tensioni del presente con grande lucidità ma lascia la sensazione che il controllo sullo sguardo di Bay sia stato possibile solo attraverso un aiuto tecnologico esterno, come se sottotraccia si riconoscesse che quel cinema, se non opportunamente dopato, non sarebbe più sintetizzabile.

Titolo originale: Transformers – Rise of the Beasts
Regia: Steven Caple jr.
Interpreti: Anthony Ramos, Dominique Fishback, Michelle Yeoh, Christo Fernandez
Voci: Tobe Mwigwe, Peter Cullen, Ron Perlman, Peter Dinklage, Liza Koshi, John DiMaggio, Pete Davidson, Michaela Jaé Rodriguez

Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 127′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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