Un silence, di Joaquim Lafosse

Un’altra storia di famiglia girata dal cineasta belga dove stavolta restano solo i pezzi sparsi del suo cinema migliore, stavolta schiavo della parola con troppe piste narrative. Concorso.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Appaiono interminabili gli spostamenti in macchina di Un silence a cominciare da quello iniziale di Astrid, interpretata da Emmanuelle Devos. La casa non è più un rifugio ma l’inferno. Marito e moglie quasi non si parlano, s’incrociano nei silenzi quasi per mantenere il loro segreto. Lafosse scardina l’intimità domestica, rivela gradualmente cosa si nasconde nel buio. Non passa neanche attraverso le apparenze borghesi del cinema di Chabrol. La villa, le auto, il cancello, l’enorme giardino grande come un parco sono ormai il mausoleo di una famiglia imprigionata nel proprio passato, chiusa nelle proprie camere e nei filmati e foto dentro i loro PC. Parte come un morboso poliziesco in commissariato. Astrid sta facendo una confessione. Cosa è successo? Cosa sa?.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

L’equilibrio della famiglia del celebre avvocato François Schaar va in pezzi quando la figlia Caroline e il figlio adottivo Raphaël scoprono cosa ha fatto il padre 30 anni prima. La vittima, un parente diretto, non si vede ma si sente soltanto la sua voce. Lafosse, al suo decimo lungometraggio, affronta di petto l’abuso familiare e la dipendenza dai video pedopornografici. Forse è proprio dal modo in cui affronta a gamba tesa la tematica che Un silence sembra un lontano parente del miglior cinema del regista. Non ha la sottigliezza del bellissimo Les intranquilles né la travolgente intensità di Dopo l’amore dove la separazione e l’inamoramento sono diventati la stessa cosa. Si, sono sempre storie di famiglia, di rivelazione di zone d’ombra. La parola, che in gran parte del suo cinema accennava e poi rivelava, in Un silence crea troppe piste narrative e qualcuna la lascia sospesa, anzi appesa per aria come quella dei clienti di François colpiti da un grave lutto che lui è costretto ad abbandonare. Tranne all’inizio, davanti al campo da tennis o nella scena in cui sta rientrando in casa ed è intervistato dalla stampa, Daniel Auteuil resta vittima del manicheismo del proprio personaggio e non trova quelle tonalità da action intimo – sotto questo aspetto oggi è l’unico attore francese che può fare i ruoli di Liam Neeson – come era riuscito a fare, per esempio, in In nome di mia figlia. Ed è proprio attraverso di lui che Lafosse prova a mostrare il rapporto tra i limiti del giornalisti e la proprietà privata a cui però manca l’affondo decisivo come nella scena in cui sveglia i fotografi e i reporter di notte sotto la pioggia. In più accenna anche a un rapporto ambiguo tra Astrid e Raphaël come nel momento del ballo o il modo in cui la donna gli accrezza il braccio in hotel esempio di un film che avanza e torna indietro confusamente. In Un silence restano solo i pezzi sparsi del Lafosse migliore, quello che faceva avvertire il disagio anche con un solo piano. Qui lo trova nella scena della discoteca con Raphaël che si avvicina e viene continuamente respinto da una ragazza mentre sta ballando. Infatti è un momento senza dialoghi, il primo grande limite di un film che per almeno metà non ne aveva bisogno.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array