Volare, di Margherita Buy

L’attrice esordisce alla regia con una commedia garbata, “gentile”, che è una prova di umiltà, ma anche di un’autoironia consapevole. Con una levità di tocco d’altri tempi. Grand Public

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È una stagione particolare del cinema italiano, a considerare i tanti attori che esordiscono alla regia. Ed ecco che anche Margherita Buy tenta il salto, supportata tra l’altro da Marco Bellocchio come produttore. Scrive, con l’aiuto di Doriana Leondeff e Antonio Leotti, dirige e interpreta. Ma sceglie saggiamente di non fare il passo troppo lungo. Lavora su corde ben conosciute e tratteggia un personaggio in linea con il suo percorso d’attrice, sempre disposta a mostrare i segni delle fragilità personali, tra nevrosi, smarrimenti, paure.

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Annabì è un’attrice di successo, nota al grande pubblico soprattutto come protagonista di una serie televisiva sugli eroi della Finanza. Ma la sua carriera internazionale è compromessa dalla fobia dell’aereo. Per questo, rinuncia anche all’occasione di un film per un grande regista coreano. Ma il problema vero è un altro. La paura rischia di ripercuotersi soprattutto sulla vita privata. Nel momento in cui sua figlia le comunica di essere stata ammessa all’università di Stanford, in California, Annabì si rende conto di non poterla accompagnare e comincia a temere una distanza insormontabile. Per questo, tra mille incertezze, prova ad affrontare la sua fobia iscrivendosi al corso “Voglia di volare”, organizzato da ITA Airways.

È tutto qui. Una storia piccola per una commedia garbata, “gentile”, una dimostrazione di umiltà ma anche la prova di un’autoironia consapevole e di una levità di tocco d’altri tempi. Senza mai strafare, Margherita Buy sa comunque trovare momenti francamente irresistibili, come il confronto con la “rivale” Elena Sofia Ricci dal coiffeur alla moda, interpretato da un incredibile Giuseppe Piccioni (il vero colpo di genio del film). E ancor più mostra pudore, un mistero di austerità e tenerezza, nel raccontare gli istanti di dolore e di crisi.

Semmai, il problema è che mancano quella velocità e quella sicurezza di traiettoria capaci di reggere dall’inizio alla fine i toni della commedia. Sebbene il montaggio di Francesca Calvelli cerchi di mantenere il ritmo, a tratti si entra in una secca imprevista, in uno stallo la cui soluzione è lasciata all’iniziativa dei singoli interpreti. Che per lo più danno prova di un mestiere straordinario (su tutti Anna Bonaiuto, Roberto De Francesco, Maurizio Donadoni, Pietro Ragusa), ma che a volte si lasciano andare a qualche eccesso un po’ stonato rispetto alla misura della regia. E così, d’altra parte, nel racconto si aprono qua e là traiettorie impreviste, accenni che rischiano di far sbandare il percorso. Come la storia tra Francesco Colella ed Euridice Axen… Eppure anche queste incertezze sono il segno di un approccio preciso di Margherita Buy, di una sua disposizione a un’apertura illimitata. Quella volontà di dar spazio e dignità a tutti, protagonisti e comprimari. Quasi con l’intento di dar vita a un film “corale”, capace di riflettere la solidarietà che nasce dalla condivisione di un disagio, dalla comunione di una mancanza o di un bisogno. E che aiuta a superare egoismi e paure.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
2 (3 voti)
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