Bezos vs Musk: la nuova corsa allo spazio

Le missioni dei miliardari hanno reso lo spazio un’alternativa tangibile alla vita sulla Terra e alle produzioni cinematografiche non solo hollywoodiane: i russi stanno già girando film in orbita

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Il down di Facebook, Instagram e Whatsapp iniziato nel pomeriggio del 4 ottobre e durato circa sei ore, ha portato a ragionare nuovamente sull’incidenza che hanno le piattaforme di proprietà di Mark Zuckerberg sulle nostre vite. Dopo le iniziali reazioni di disorientamento e frustrazione seguite al blackout che ha costretto ad un ritorno obbligato a sistemi tecnologici “preistorici” come SMS e telefonate, la situazione si è ben presto appianata, canalizzandosi in un flusso di autoironico sollievo una volta che le piattaforme hanno ripreso a funzionare.

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Ma il crash non ha significato solo un impedimento nelle comunicazioni a livello globale. Dal punto di vista economico il titolo a Wall Street ha subito una caduta drastica dovuta al blocco delle inserzioni pubblicitarie, principale fonte di reddito del social network, per una perdita di capitalizzazione di oltre 47 miliardi di dollari e un danno all’economia mondiale che si aggira attorno al miliardo di euro. A farne le spese è stato soprattutto lo stesso Zuckerberg, che detiene il 14% della società, facendolo scivolare, almeno momentaneamente, dal quinto al sesto posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo stilata da Forbes. Solo qualche mese fa il fondatore della piattaforma aveva lanciato Horizon Workrooms, un’app in virtual reality che permette a più persone di connettersi contemporaneamente all’interno di un ambiente digitale e lavorare in sincrono tramite i propri avatar. Il nuovo lancio si presenta come una forma embrionale di metaverso (già prefigurato da Neal Stephenson e poi da Ernest Cline nel suo romanzo Ready Player One e trasposto da Steven Spielberg nel film omonimo), obiettivo al quale Zuckerberg non ha mai nascosto di puntare e a cui sono interessate alcune delle più grandi società tecnologiche mondiali, da Epic Games (produttore di Fortnite) a Nvidia e Roblox. Ma dopo la recente batosta finanziaria e il conseguente smacco d’immagine, Zuckerberg dovrà probabilmente accantonare per qualche tempo le proprie mire espansionistiche nel cyberspazio, lasciando terreno a due nomi di punta quali Elon Musk e Jeff Bezos.
I due imprenditori infatti, impegnati da anni in una gara allo sviluppo tecnologico che li ha portati ad investire in maniera febbrile le proprie risorse nella nuova corsa allo spazio, sembrano disposti a tutto pur di allargare i confini del proprio regno privato, e non solo in senso metaforico. Se da una parte Musk, fondatore e CEO di Tesla e SpaceX, mira a costruire infrastrutture per colonizzare Marte in vista di una catastrofi climatica che renderà inabitabile la Terra, per non essere da meno Bezos ha fondato la Blue Origin, una società privata per lo sviluppo di mezzi da utilizzare nei viaggi orbitali, che ha progettato l’unità New Shepard con cui l’ex CEO di Amazon si è lanciato nello spazio lo scorso 20 luglio.

Ma dietro alle ambizioni di colonizzazione spaziale dei due uomini più ricchi del mondo si nasconde ben più che un obiettivo filantropico di ricerca di nuovi pianeti abitabili. L’intento infatti è anche quello di accaparrarsi miliardi di dollari pubblici in contratti governativi in prospettiva di una nuova fase di accumulazione capitalista. Secondo alcuni commentatori, Bezos e Musk infatti starebbero di fatto duellando tra loro per un mero interesse personale in comune: promuovere un’industria spaziale privatizzata da cui saranno gli unici a trarre beneficio e che nulla ha a che vedere con una visione futuristica di vita intergalattica. Per anni sono circolate teorie e preoccupazioni sul fatto che gli investimenti spaziali dei due miliardari mirassero a sfuggire al caos climatico che la classe dirigente mondiale continua ad alimentare (una sorta di concretizzazione della visione prospettata da Elysium di Neill Blomkamp), sulla falsariga di altre teorie complottiste che vedrebbero i ricchi del mondo investire il proprio capitale per ricreare bunker e ambienti abitabili al centro della Terra e sfuggire così al riscaldamento globale.
Gli anni di competizione tra SpaceX e Blue Origin su piattaforme di atterraggio, brevetti e contratti della NASA mostrano la vera posta in palio della corsa spaziale miliardaria: l’esempio più recente è un contratto NASA da 2,9 miliardi di dollari assegnato a SpaceX per la costruzione di un lander lunare, per il quale ha concorso anche Blue Origin, la quale proprio in vista della sconfitta ha deciso di fare causa all’agenzia governativa, accusandola di valutare in maniera scorretta le proposte fatte in sede di gara d’appalto. Ma non è certo l’unico esempio di finanziamento pubblico per l’industria spaziale.

Nel frattempo il cinema continua ad intercettare e raccontare le nuove traiettorie di quest’epoca nella quale si prefigurano crisi ambientali, civiltà multiplanetarie e turismo intergalattico, in forme sempre più spurie che sembrano adattarsi ad una visione gender fluid, in cui la distinzione di genere (cinematografico) va progressivamente a sfumare. Sono corposi gli esempi di prodotti che abbracciano una visione della realtà che dilaga e si mescola a scenari fantascientifici, in cui lo spazio non è un “mondo altro”, estraneo e parallelo, ma un prolungamento esperibile del reale, in cui consolidate avventure narrative possono proseguire: dal futuristico sci-horror di Jason X e i recenti mash up tendenti al trash come Sharknado 3 e l’annunciato Machete Kills again…in space, passando per l’auto-missile dell’ultimo Fast & Furious 9, solo per citarne alcuni (e non a caso si tratta di saghe).

La corsa allo spazio dunque non è più solo una lontana e utopica possibilità, quanto invece una realtà futuribile, che va considerata ormai come un vero e proprio ingranaggio del processo creativo, elemento imprescindibile della produzione filmica in quanto potenziale parte integrante della nostra vita futura. Ecco quindi che la collaborazione tra Elon Musk e Tom Cruise per girare il prossimo capitolo della saga di Mission: Impossible nella Stazione Spaziale Internazionale assume nuove sfumature: non si tratta solo dell’unione di due forze, quella muscolare dell’implacabile attore/semi-dio, e quella capitalistica dell’imprenditore miliardario, ma la conquista di una nuova frontiera, un territorio da plasmare, civilizzare, su cui piantare bandiere e costruire nuovi paradigmi, esistenziali, sociali, politici, economici.
Nel frattempo la settimana scorsa il regista russo Klim Šipenko e l’attrice Yulia Peresild sono volati nello spazio per realizzare alcune sequenze di Challenge, a tutti gli effetti il primo film al mondo girato in orbita. Con buona pace di Musk, la cui “impresa americana” è stata surclassata (un’altra volta) dalla potenza russa.

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