Don’t Look at the Demon, di Brando Lee

Horror sovrannaturale che offre una storia di fantasmi poco rivoluzionaria, con l’aspetto e la rifinitura di un film Blumhouse. Ma s’immerge bene nella tradizione del suo paese.

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Nel vasto panorama horror internazionale del nuovo millennio, Don’t Look at the Demon di Brando Lee si distingue come il primo film malese proiettato negli USA al di fuori dei festival, offrendo agli appassionati una nuova storia di fantasmi. È basato su rituali reali che sono stati proibiti e realizzato in memoria di Kyabje Tsem Rinpoche, lama e guida spirituale del Buddhismo tibetano.

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Da quando era bambina, Jules ha avuto un dono: può vedere e osservare gli spiriti dei morti. Oggi, Jules utilizza il suo talento come conduttrice di The Skeleton Crew, una serie televisiva che porta la sua troupe in luoghi infestati in tutto il mondo. Quando una email di un utente porta il gruppo a Fraser’s Hill in Malesia, Jules e i componenti di The Skeleton Crew si trovano a casa di Ian e Martha credono inizialmente che la storia di fantasmi da loro raccontata sia una messa in scena, ma in breve tempo, scoprono di essere testimoni dell’infestazione più grave della loro carriera.

Nonostante la struttura in stile found-footage, Don’t Look at the Demon segue più da vicino i passi di Insidious (2010) e The Conjuring (2016) del regista horror malesiano James Wan. Brando Lee esplora vari metodi horror nel suo film, dalle riprese di sorveglianza di The Skeleton Crew con telecamere notturne termosensibili come in passato abbiamo visto fare in film girati nello stile di falso documentario come Paranormal Activity (2007) di Oren Peli a sequenze di fantasmi più tradizionali e gotiche prese in prestito da pellicole come The Others (2001) e Sinister (2012). Lee è bravo quando sceglie di filmare sequenze d’azione di giorno, sfruttando il design delle creature per coinvolgere maggiormente lo spettatore, ribaltando quello che tanti registi fanno relegando i loro spaventi nelle ombre scure. Nel cast emergono Fiona Dourif e Harris Dickinson, eccellenti nell’interpretare personaggi cupi e determinati.

La sceneggiatura di Lee e Alfie Palermo è punteggiata da momenti salienti che mantengono il film interessante nonostante gli elementi piuttosto generici, La logica pensata degli sceneggiatori dietro al “possesso” è intelligente, anche se la storia secondaria che riguarda Jules e la morte di sua sorella Sara non si collega del tutto alla vittimizzazione di Martha, cosi come anche il triangolo amoroso tra Jules e il suo produttore Matty e la loro collega, Annie, aggiunge poco al dramma. Fortunatamente il film si riprende quando il monaco thailandese, che nella sequenza di apertura abbiamo visto donare a Jules un amuleto per potenziare il suo talento, torna ad aiutarla per sconfiggere il fantasma che infesta la casa. Ma cerchiamo di essere chiari, Don’t Look at the Demon non è niente di rivoluzionario e nemmeno cerca di esserlo. Quello che fa è prendere un modello di horror di successo e applicarlo a un altro paese e cultura. Lee e Palermo lo sanno fare discretamente bene e s’immergono nella perturbante tradizione della Malesia per esplorare la paura universale dell’ignoto.

Titolo originale: id.
Regia: Brando Lee

 

Cast: Fiona Dourif, Harris Dickinson, Jordan Belfi, Malin Crépin, Jessie Franks, William Miller, Thao Nhu Phan, Randy Wayne

Distribuzione: 102 Distribution
Durata: 96′
Origine: Malesia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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