Gran Turismo. La storia di un sogno impossibile, di Neill Blomkamp

Per il regista la gamification è l’ultimo stadio di un cinema affascinato da un’umanità sempre più potenziata dalla tecnica. Peccato che a essere rimasto “solo” umano sia proprio il suo sguardo.

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È ancora un cinema che ragiona di corpi e tecnica, dei rapporti tra l’umano ed il macchino, quello di Blomkamp, anche quando si sposta su un terreno apparentemente alieno come quello dei film su licenza, da cui proviene in effetti Gran Turismo. La storia di un sogno impossibile, film branded Sony trasposizione del celebre franchise motoristico per Playstation. A cambiare, dai tempi di Elysium, è ovviamente il contesto. Perché dieci anni dopo quel film, il progressivo spostarsi nello spazio digitale, ha messo a sistema le modalità ormai istintive attraverso cui espandiamo i nostri corpi e le nostre coscienze attraverso l’infosfera.

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Jann Mardenborough, il pilota protagonista del film, campione del videogioco Gran Turismo che nel 2011, dopo un’esperienza formativa nella GT Academy, ottiene la possibilità di gareggiare nel mondo vero, prendendo parte ad una serie di campionati su circuito, nel tentativo di dimostrare che tra realtà e spazio digitale non c’è poi troppa differenza è un altro membro della galleria di potenziati del cinema di Blomkamp ma stavolta tra lui e il Max DaCosta di Matt Damon c’è un abisso.

Non si tratta solo di una ridefinizione dell’elemento macchinico, con Jann che affina i riflessi e le risposte del suo corpo attraverso la sola gamification piuttosto che con protesi analogiche, ma soprattutto del fatto che la sua storia è vera, come a indicare che ormai non c’è più bisogno di fingere, ormai si è giunti a quel futuro raccontato nei primi film. È in effetti una storyline essenziale quella di Gran Turismo, ma racconta con lucidità certi elementi ricorrenti che stanno modificando il nostro rapporto con il cinema ma anche l’esperienza del visibile attraverso l’infosfera.

Tornano dunque in primo piano la smaterializzazione dei corpi, l’azione per procura nel Reale attraverso il gaming, ma ad esse si aggiungono pratiche nuove, inquiete ma affascinanti che provano a descrivere dove sta andando il cinema popolare, oggi. Ecco allora, da un lato, il placement incessante di brand “amici”, della Sony, della Nissan, della stessa Poliphony, che quasi si sostituisce alla diegesi, detta i tempi, li allunga alla ricerca dell’inquadratura più conveniente o si attarda su passaggi stranianti, come il  prologo, di fatto un’elegia di Kazunori Yamahuchi, il creatore del gioco originale.

Ecco, forse soprattutto, questo nuovo modo di affrontare il biopic, senza censure, pronto a raccontare anche il terribile incidente in cui il vero Mardenborough uccise uno spettatore durante una corsa come a confermare quanto la forma del racconto biografico al cinema è sempre più quella della wiki, del continuo fact checking, attraverso cui  lo spettatore interroga i motori di ricerca per comprovare la veridicità degli eventi, consapevole di quanto, in rete il vero oblio sia impossibile.

Gran Turismo

Gran Turismo sembra uno strano riattraversamento dello straordinario Giorni di tuono, soprattutto per il modo in cui Blomkamp prova a riprendere ed attualizzare discorsi di un cinema, quello della coppia Scott/Bruckheimer, che già ragionava di corpi potenziati o smaterializzati, che già costruiva un film sul brand della Marina Americana negli anni ’80 ed uno sulla Nascar negli anni ’90

Sono discorsi, certo, di decenni fa, eppure si fa fatica ad accusare Blomkamp, appassionato, consapevole mentre riflette sulle implicazioni di una forma mentis sempre più digitale, di passatismo. A mancargli è semmai quello sguardo, quella frenesia visiva degli shooter anni ’90, degli Scott, dei Bay. Perché Blomkamp si limita a lavorare su un’affascinante cornice concettuale, poi, però, fatica a trasportare nella messa in scena quelle idee, quella stilizzazione.

Dà, piuttosto, tutto per scontato, svela i confini di questo mondo nuovo ma non mostra mai davvero come si muove, come pensa. Pare in effetti sempre più stanco, Blomkamp gira sequenze di corsa a cui solo le onnipresenti, incolore riprese coi droni donano un dinamismo irrimediabilmente artificiale, ma soprattutto è sempre meno lucido, a tal punto che tende a contraddirsi, a raccontare questa storia proveniente da un presente/futuro con una sintassi vecchia, stantia, che segue con pigrizia i ritmi di un comunissimo film sportivo, e si ripiega su personaggi mai davvero approfonditi, pericolosamente vicini all’oblio del cliché.

Quello di Blomkamp rimane dunque un film irrisolto, penalizzato da una regia che difficilmente vuole mettersi in gioco, ma forse anche asfissiato da un brand che poco lascia all’iniziativa personale, perfettamente consonante, tra l’altro, ad un franchise che, con la sua grafica fotorealistica e, soprattutto, l’impossibilità di danneggiare le vetture, ha sempre fatto fatica ad essere davvero nel tempo, nel reale.

 

Titolo originale: Gran Turismo
Regia: Neill Blomkamp
Interpreti: Archie Madekwe, David Harbour, Orlando Bloom, Darren Barnet, Emelia Hartford, Josha Stradowski, Geri Halliwell, Djimon Hounsou
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 134′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
2.13 (8 voti)
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